Intervista a Fasulo, regista di "Tir"
esce il film che ha trionfato a Roma

L'attore Branko Završan in una scena del film "Tir" di Alberto Fasulo
di Gloria Satta
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Giovedì 20 Febbraio 2014, 17:40
Esce nelle sale il 27 febbraio “Tir”, il film di Alberto Fasulo che tre mesi fa vinse il Marc’Aurelio d’oro al Festival di Roma. Girato con uno stile misto, metà documentario e metà fiction, il film racconta la vita quotidiana di un camionista seguito mentre guida, telefona alla moglie lontana, si riposa nelle rare pause del lavoro. Protagonista è l’attore sloveno Branko Završan che per l’occasione ha preso la speciale patente per i mezzi pesanti e si è fatto assumere da una ditta di trasporti.

Intervistato dal Messaggero.it, Fasulo (già autore dell’applaudito “Rumore bianco”) parla del suo film e dei suoi progetti.

Come le è venuta l’idea di raccontare la vita di un camionista?

“Per caso. Dopo aver perso un treno, chiesi un passaggio a un Tir e scoprii un mondo inaspettato: mi venne immediatamente voglia di raccontarlo”.

Cosa risponde alle critiche di eccessiva lentezza?

Tir è un film di ricerca, diverso da tutti gli altri. Ho sempre desiderato che lo spettatore conoscesse una realtà di cui si parla pochissimo e, una volta uscito dal cinema, continuasse a pensarci. In questo senso considero il film riuscito”.

E’ soddisfatto dunque?

“Sì, perché ho puntato i riflettori con onore e rispetto sul mondo dei camionisti, un mondo poco raccontato e molto bistrattato”.

Dopo il Marc’Aurelio cosa è successo?

“Tir è stato venduto in Francia, Slovenia, Australia, Ungheria. E sono in trattative con altri Paesi”.

Come hanno reagito i camionisti?

“Mi hanno ringraziato, molti mi hanno detto di aver rivisto sullo schermo la loro vita. E hanno apprezzato il fatto che io l’abbia raccontata con sincerità e onestà, fuori dagli stereotipi, sottolineando la lontananza degli affetti”.

C’è spazio per un cinema “estremo” come il suo?

“Sicuramente. La gente ha voglia di novità, di proposte diverse dalla commedia”.

Come spettatore quale cinema preferisce?

“Il cinema di ricerca: Bresson, Pasolini, Tarkowski, Truffaut, Cassavetes…”.

Il Leone d’oro andato al documentario “Sacro Gra” l’ha aiutata a vincere il Marc’Aurelio?

“Non credo, la giuria era diversa. Marco Müller, il direttore del Festival di Roma, ha invitato Tir perché se n’era innamorato. L’anno scorso la vittoria di Sacro Gra e del mio film ha sdoganato il documentario: ormai non è più un genere di serie B”.

Cosa prepara?

Un giorno ogni quindici, un documentario sui genitori dei ragazzi diversamente abili. E’ un mondo vastissimo che vale la pena raccontare”.

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