Vittorio Parsi
Vittorio Parsi

Pro o contro il sistema/Anti-Trump, il dilemma che spacca i democratici

Pro o contro il sistema/Anti-Trump, il dilemma che spacca i democratici
di Vittorio Parsi
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Giovedì 6 Febbraio 2020, 00:05
L’ovvio vincitore del pasticciaccio brutto dell’Iowa è Donald Trump, che ha potuto irridere gli avversari del Partito democratico, neppure capaci di contare i voti e assegnare i delegati. Detto questo, il primo round per la nomination democratica ci consegna un derby inatteso tra chi ritiene Donald Trump la manifestazione patologica di un sistema sostanzialmente sano, e vede nel moderato Pete Buttigieg l’uomo giusto per sloggiare “l’usurpatore” dalla Casa Bianca, e chi invece considera Trump il semplice sintomo di un sistema malato e vede nella radicale piattaforma di riforme di Bernie Sanders la sola speranza per poterlo salvare. 

Molti osservatori ritengono che nessuno dei due potrà mai avere chance per conquistare la presidenza e che un risultato simile aumenta le chance di Michael Bloomberg, che scenderà in campo a partire dal “supermartedì” del 3 marzo. Lo fece un altro ex sindaco di New York, quattro anni fa, Rudolph Giuliani (dalla parte dei repubblicani) e non gli disse bene. Vedremo, la corsa è ancora lunga.

I sostenitori di Bernie Sanders insinuano il dubbio che le lungaggini nell’assegnazione della palma della vittoria in Iowa sia stata una manifestazione di “fuoco amico”.

Una vittoria, quella dell’Iowa, poco più che simbolica visto che attribuisce, dividendoli tra i diversi candidati, poco più di una quarantina di delegati. Ma il “fuoco amico” sarebbe stato volto a impedire che il loro beniamino del posto conquistasse il primo podio delle primarie. 
Sono forse esagerazioni, ma è invece vero che nel 2016 furono l’ostilità del partito e le manovre per nulla limpide del Comitato nazionale a danneggiare pesantemente Bernie a favore di Hillary Clinton (poi sconfitta da Trump). 
Per quel che è dato fin qui capire, Bernie Sanders non ha probabilmente ottenuto il successo che sperava. Non certo a causa di Elizabeth Warren che arriva terza e neppure di Joe Biden (addirittura quarto), partiti malissimo anche se tutti ancora in corsa, ma per merito del più giovane dei candidati alla nomination, arrivato spalla a spalla con il vecchio leone socialista del Vermont, Pete Buttigieg: 38 anni, sindaco di una cittadina dell’Indiana, colto e poliglotta, veterano dell’Afghanistan e gay, sposato con il suo compagno Chasten.

Politicamente Buttigieg è un moderato che ha attirato i voti dei residenti suburbani tra i partecipanti al caucus dell’Iowa, cioè lo stesso tipo di elettorato bianco e middle class che quattro anni fa risultò decisivo per la vittoria di Trump in molti swing States. Su questo si gioca le carte di convincere innanzitutto l’establishment del partito che lui potrebbe essere il nuovo Obama. Come lui, per vincere nelle presidenziali ha bisogno di portare al seggio chi abitualmente non vota e ieri l’affluenza è stata molto lontana da quella necessaria.
Il mix di moderazione politica e forte esposizione a favore dei diritti civili (lui stesso ne è un’oggettiva icona), unito con un patriottismo dimostrato sul campo di battaglia e non sul ring del Wrestling, ne fa un cliente scomodo per Trump, che per attaccarlo seriamente rischierebbe di andare forse troppo border line rispetto all’oltraggio. È vero che lo fece anche nel 2016: sia verso il presidente Obama (che però non correva) sia verso Hillary Clinton (che però risultava decisamente antipatica a molti americani). Ma Trump ci ha abituato a tutto…


Bernie Sanders è considerato da tanti osservatori troppo socialista, troppo radicale, troppo vecchio e può darsi che la sua vera occasione (perduta) sia stata quella di quattro anni fa. Certo è che è il più popolare nei sondaggi e raccoglie il voto dei giovani, dei più acculturati, degli abitanti delle due coste. Altrettanto vero che, con l’accusa di essere un vecchio comunista che vuole far pagare più tasse, ridurre le armi in circolazione ed estendere a tutti la protezione sanitaria, Trump avrebbe molti spunti polemici su cui fare leva.

La questione vera è allora quella segnalata in apertura: l’America ha bisogno di un nuovo New Deal? Oppure sarà sufficiente esprimere un presidente competente? Su questo le opinioni possono divergere e, di sicuro, anche Wall Street voterà, magari per un suo esponente come Bloomberg. A favore di Trump e, paradossalmente, di chi pensa che lui rappresenti “il” problema, giocano gli indicatori macroeconomici tutti positivi. Contro di lui e in sostegno di chi chiede un cambiamento decisivo il fatto che, in questi quattro anni, l’indice di Gini (che misura la diseguaglianza) sia ulteriormente peggiorato, il monte salari complessivo sia sceso nonostante la diminuzione della disoccupazione e il “cattivo lavoro” abbia rimpiazzato “il lavoro buono”. 

Che il candidato democratico sia Sanders, Buttigieg, Biden, Warren o magari Bloomberg, la questione è tutta qui: come pensano che stia davvero l’America i suoi cittadini?

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