Pio d'Emilia
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Quei diritti negati ai bimbi giapponesi

Quei diritti negati ai bimbi giapponesi
di Pio d'Emilia
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Lunedì 5 Luglio 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 22:29

Tra qualche giorno un giovane cittadino francese che vive e lavora a Tokyo inizierà uno sciopero della fame. «È l’unico modo che mi resta per tentare di rivedere i miei figli – ci dice – se ci riesco bene, altrimenti per me non ha più senso vivere: preferisco lasciarmi morire».

T.C. le ha provate tutte, ma proprio tutte: dal giorno in cui la moglie se ne è andata di casa, portandosi via i figli, ha ottenuto varie sentenze a suo favore, sia in Giappone che in Francia, senza peraltro riuscire a farle eseguire. Ha poi intrapreso la via politica riuscendo a coinvolgere, in occasione del G20 di tre anni fa ad Osaka, persino il presidente Macron e ottenendo una risoluzione al Parlamento Europeo – assieme ad altri cittadini, tra i quali un italiano, Tommaso Perina – nella quale si invita il governo giapponese a rispettare gli accordi e le sentenze internazionali.

 
Niente da fare: il “sistema” locale gli ha sinora offerto di incontrare i suoi figli per pochi minuti, in una struttura “protetta”, alla presenza dei servizi sociali e senza la possibilità di fotografarli. Cosa che, come fanno tanti altri genitori non affidatari, ha rifiutato. Ora non ne può più e ha deciso di ricorrere ad un gesto disperato. Piazzerà una tenda davanti allo stadio nazionale – se glielo consentiranno, altrimenti ha già alcuni piani alternativi – e approfitterà del palcoscenico olimpico per denunciare al mondo il dramma dei minori che “scompaiono”. Un dramma che non riguarda solo T.C. e molti altri stranieri sposati con cittadini giapponesi, ma centinaia di migliaia di bambini giapponesi, figli di coppie che si separano e che per un motivo o per l’altro finiscono per non vedere più il genitore non affidatario.
Il Giappone è uno dei pochi Paesi al mondo dove l’affido congiunto non solo non è normalmente disposto, ma addirittura non è previsto dal codice. Una lacuna normativa che peraltro sembra giustificata da una diffusa quanto crudele tradizione in base alla quale la separazione/divorzio non riguarda solo il rapporto tra la coppia di adulti, ma anche quello con i figli.

«In Giappone il concetto di famiglia allargata non esiste – spiega l’avvocato Akira Ueno – quando una coppia si separa si decide con chi resteranno i figli, in genere la madre, e l’altro coniuge si limita a contribuire economicamente». Tutto questo, osserva l’avvocato Ueno, egli stesso vittima del sistema (non vede i propri figli da anni) viola la Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, firmata e ratificata anche dal Giappone, e che riconosce, tra l’altro, il diritto del minore di crescere coltivando un rapporto solido e continuativo con entrambi i genitori.

«Purtroppo questi principi sono profondamente contrari alla mentalità e alla cultura giapponese – spiega Ueno – che tende a tagliare di netto ogni legame con le passate relazioni». 
«L’errore maggiore che i media, soprattutto stranieri, possono compiere – spiega l’onorevole Yukiko Kada del partito Hekisuikai, uno dei pochi che sta dando battaglia in parlamento – è che questo sia un problema che riguardi le cosiddette coppie internazionali.

Che siano questioni cioè che nascono dai soliti “malintesi” culturali. Non è così. Questo è un problema drammatico che riguarda il nostro Paese: in Giappone circa l’80% dei figli minori di coppie separate non vedono più il genitore non affidatario».

 
La gestione del diritto di famiglia in Giappone è affidata ai servizi sociali. I tribunali intervengono poco e quando lo fanno evitano di imporre l’esecuzione delle sentenze. Prevale il concetto della “stabilità” che va garantita ai figli. Se un coniuge li rapisce e riesce a far perdere le tracce per un certo periodo di tempo (in genere basta qualche mese), scatta il principio che qualsiasi modifica “forzata” dello status quo potrebbe nuocere all’equilibrio psicofisico del minore. Per cui anche in presenza di sentenze che modificano le condizione dell’affido o anche solo riconoscono il diritto di visita, servizi sociali e autorità giudiziaria (polizia) tendono a non forzare la situazione. 


«Io sono ancora sposato, ho una sentenza che regolamenta il mio diritto di visita ma sono tre anni che non vedo i mie figli», racconta Tommaso Perina, del cui caso si sta occupando da anni, sinora senza grande successo, anche l’ambasciata italiana. «A me la polizia ha detto che se provo ad avvicinarmi ai miei bambini, che non vedo da tre anni, rischio di essere arrestato e denunciato per tentato rapimento – spiega T.C. mentre si prepara ad iniziare il suo sciopero della fame – solo il primo rapimento sembra consentito: una volta effettuato, non c’è modo per sanzionarlo». «Amo profondamente i miei figli e so che anche loro hanno bisogno di me. Non interromperò il digiuno sino a quando non mi sarà possibile rivederli o il mio governo, quello francese, non alzerà seriamente la voce con quello di Tokyo». Tutto questo, alla vigilia delle Olimpiadi.

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