Il grande funambolo Philippe Petit, l’uomo che camminò sospeso tra le Torri Gemelle lasciando il mondo senza fiato, ha scritto che «il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante». Oggi che nel post Covid ci muoviamo anche noi come equilibristi, sospesi tra la sfida dello sviluppo sostenibile e le crisi continue che ne minacciano il percorso, è utile ricordarsi delle parole di Petit.
Come una grande metafora, la corda tesa tra due punti è la direzione di marcia, imboccata con coraggio dall’Europa e dall’Italia: quella transizione ecologica ed energetica che il programma Next Generation Eu, incarnato nei Piani nazionali di ripresa e resilienza e nei capitoli aggiuntivi del RepowerEu, individua come stella polare della politica economica comunitaria e che per l’Italia vale oltre 50 miliardi di euro fino al 2026. Ma quella fune, che vede all’orizzonte la neutralità climatica con la completa decarbonizzazione entro il 2050, non è affatto uno spazio di leggerezza. È, al contrario, una strada continuamente minacciata dalle incertezze: dalle conseguenze imprevedibili dei nuovi conflitti che lambiscono il Vecchio Continente, in Ucraina e in Medioriente, dall’inflazione tornata a crescere, dalle difficoltà di abbandonare le fonti fossili mentre i prezzi dei beni energetici continuano a mostrarsi estremamente volatili. Non è un caso che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, abbia lanciato l’allarme sul fatto che «a metà del percorso la promessa dell’Agenda 2030 è in pericolo». Anche l’Italia, come ha appena certificato il rapporto presentato la scorsa settimana dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile sottoscritti nel 2015 assieme ad altri 192 Stati appaiono lontani dalla meta. I rallentamenti più rilevanti si registrano sul fronte della lotta alla povertà, dei sistemi idrici e sociosanitari, della difesa degli ecosistemi terrestri e marini, della governance e delle partnership.
Non c’è da fasciarsi la testa. La sobrietà del “mestiere” del funambolo deve venirci in soccorso.
In questa interconnessione sta la chiave per la sostenibilità a tutto campo – economica, ambientale e sociale – che dobbiamo perseguire. Ed è questo lo spirito con cui la Fondazione Guido Carli, che mi onoro di presiedere per tramandare l’eredità morale e culturale dello statista, dedicherà al tema «Sostenibili futuri. Guida visionaria al domani che vogliamo» la sua Convention inaugurale, in programma a Roma il 1° dicembre alla Camera dei deputati, in quella Sala della Regina dove fino al 2018 si è svolta la cerimonia del Premio Guido Carli, che a maggio festeggerà il suo 15° anno di vita. Dopo i saluti della vice presidente della Camera, Anna Ascani, l’intervento del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’ambasciatore Giampiero Massolo, consigliere della Fondazione, daremo voce a nove tra top manager e imprenditori impegnati ogni giorno nella difficile sfida di costruire benessere salvaguardando la qualità della vita delle nuove generazioni. Funamboli del presente, lanciati verso l’avvenire. Con lo sguardo fisso ai giovani e al loro interesse, nel solco tracciato da Guido Carli.
*Presidente della Fondazione Guido Carli