Paolo Balduzzi
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Il lavoro povero/ Se i 9 euro non risolvono il problema dei bassi salari

di Paolo Balduzzi
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Domenica 13 Agosto 2023, 00:00

Nulla di fatto sul salario minimo, almeno per ora. Se le notti d’inizio agosto sono colme di stelle e desideri, le sue giornate invece sembrano riempirsi di rimpianti, rinvii e tatticismi. Che per il governo il salario minimo non fosse la soluzione ottimale, era chiaro da tempo; il sospetto, al contrario, è che, per almeno una parte delle opposizioni, il tema si stia riducendo a una bandiera, da sventolare a favore di elettorato ma con poca attenzione al suo vero significato. Perché lo strumento (il salario minimo) non può confondersi con l’obiettivo, che è invece quello di contrastare il lavoro povero. La scelta del termine non è causale: per quanto argomento indigesto alla classe politica, che tutto sogna di poter controllare, un intervento legislativo può provare a indirizzare gli equilibri economici ma non può certo stabilirli. Chi sperasse in interventi risolutivi di una semplice legge, in campo economico, sarebbe o ingenuo o in malafede. Non si spiega quindi altrimenti il nervosismo per la proposta di Giorgia Meloni che, prendendo tempo, non ha comunque chiuso le porte a nessuna proposta. Bisogna mettersi d’accordo: se la questione è semplicemente importante, non può certo risolversi con la fretta. Se invece la questione è soprattutto urgente, allora non si può aspettare di essere all’opposizione per farla diventare tale. Tra le due alternative, l’importanza è l’aspetto principale. E quindi un tempo adeguato a risolverla deve essere il primo ingrediente della ricetta. 

In questi sessanta giorni, che possono diventare anche qualcuno in più se l’orizzonte fosse davvero quello della Legge di bilancio 2024, ci sarebbe per esempio tutto il tempo per rispondere ad alcune domande. La prima: su chi graverebbero i costi del salario minimo? Sulle imprese o sulle casse dello Stato? Nel primo caso, aumentando i costi aziendali, ci si potrebbero aspettare conseguenze (negative) sul livello occupazionale: esistono stime di questo effetto nella proposta delle opposizioni? Nel secondo caso, invece, andrebbero quantificate le coperture e soprattutto le fonti di tali coperture.

La seconda domanda: il lavoro povero dipende maggiormente dal livello retributivo orario o dal reddito annuale? Perché avere un minimo salariale senza un numero adeguato di ore lavorate fa contenti quelli che sventolano le bandiere, appunto, ma non certo quei lavoratori che resteranno poveri. E ancora, la terza: a chi si applicherà il minimo salariale? A tutti i lavoratori, indipendentemente dalle forme contrattuali (dipendenti, atipici, partite Iva, etc.), o con eccezioni, magari legate al settore? Nel secondo caso, il rischio di incostituzionalità appare piuttosto elevato. E, al di là dell’aspetto giuridico, elevato appare il rischio di aumentare il solco della disuguaglianza tra coloro che più hanno necessità. Infine, ma solo per problemi di spazio, la quarta: come si può pensare che in un paese così eterogeneo come il nostro, con costi della vita differenti tra nord e sud, tra borghi alpini e territori urbanizzati, tra grandi città e piccoli centri di provincia, una sola misura del salario minimo produca gli stessi effetti per tutti i lavoratori? Francamente, due mesi di tempo sembrano addirittura pochi per rispondere a queste domande, che sono solo alcune delle numerose questioni da affrontare. È ancora presto per immaginare una soluzione, che però potrebbe accogliere elementi di entrambe le principali proposte sul piatto: allargamento della contrattazione collettiva, detassazione e introduzione del salario minimo in via sperimentale dove, oggettivamente, sembra essercene più bisogno. Se l’opposizione vorrà meritarsi un merito, sarà quello di aver posto la questione sul tavolo del governo; se invece si ostinerà sullo strumento invece che sull’obiettivo, facendo saltare ogni mediazione, l’autunno avrà comunque fornito delle risposte agli elettori italiani.

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