Riccardo Sessa

Eserciti contro/ Il momento più adatto per avviare la trattativa

di Riccardo Sessa
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Martedì 7 Giugno 2022, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 00:58

Nel 1919 John Reed pubblica “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, una testimonianza nel miglior stile giornalistico della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che portò al potere in Russia il Partito Comunista e i nonni di Vladimir Putin e della sua generazione. Oggi Reed avrebbe scritto sui cento giorni che hanno sconvolto il mondo della guerra all’Ucraina del nipote di quella rivoluzione nel tentativo di ricreare ciò che i suoi nonni avevano cancellato. 


Può sembrare una forzatura, ma non lo è, e questi cento e poco più giorni di una guerra fratricida hanno veramente sconvolto il mondo, peraltro già prostrato da due anni di una terribile pandemia. Grazie a quelle alchimie che solo i diplomatici sanno inventare, la guerra iniziata il 24 febbraio solo formalmente non è “mondiale”, ma lo è nei fatti. Basti pensare al numero di Paesi e ai milioni di persone che direttamente o indirettamente sono coinvolti e alle tante serie emergenze sviluppatesi, prime tra tutte quelle alimentari e energetiche. 


La domanda che tutti ci poniamo con crescente preoccupazione è a che punto siamo arrivati e che prospettive ci sono di porre termine a questa guerra che definire assurda, ingiustificabile e fuori tempo è poco. Dall’andamento altalenante delle operazioni militari, basti pensare a cosa succede a Severodonetsk, e con le due forze che si rincorrono nel sopravvento sull’altra - sempre a spese della popolazione civile -  non emerge ancora purtroppo un vincitore sul terreno. Purtroppo, perché quella è una delle condizioni per avviare un negoziato credibile partendo da un cessate-il-fuoco e da una mappatura delle posizioni a quel momento, con tutto ciò che quello significa, senza disturbare Kissinger. Questo per ricordarci che, pur intravedendo un lumicino alla fine del tunnel in conseguenza di alcuni movimenti sul piano diplomatico, la fine della guerra non è ancora vicina. 
In questi ultimi giorni alcune situazioni si sono obiettivamente mosse favorendo una maggiore chiarezza negli schieramenti. Alcuni esempi, di non poco conto. Innanzitutto, americani e russi hanno iniziato a parlarsi, e per primi lo hanno fatto i militari dei due Paesi. È importante che i generali si parlino. Naturalmente lo hanno fatto e lo stanno facendo nella massima riservatezza, come è giusto che sia. Il rapporto diretto tra Washington e Mosca è quello determinante, lo andiamo ripetendo da tempo. 


Non dimentichiamo che nella campagna propagandistica di Mosca e dei suoi tanti agenti più o meno coperti sparsi nei Paesi sostenitori dell’Ucraina - noi ne sappiamo qualcosa - la guerra in corso è quella di Biden, e poi della Nato, contro la Russia. Gli altri attori a fianco dell’Ucraina sono tutti essenziali, ma meno determinanti da soli, a cominciare dall’Europa, come entità unica e/o di alcuni Paesi maggiori, la Turchia, l’India, e la Cina. 


La coalizione dei willings in favore dell’Ucraina si va rafforzando, e questo innervosisce ovviamente Putin. L’esempio più recente, ma anche molto significativo, è il divieto al sorvolo del rispettivo spazio aereo da parte di Bulgaria, Montenegro e Macedonia del Nord all’aereo che avrebbe dovuto portare a Belgrado il ministro Lavrov, obbligandolo ad annullare la sua visita. I primi tre sono membri della Nato e il Montenegro, in particolare, ha una lunga storia di intensi rapporti con Mosca, come tuttora ha Belgrado, che ha comunque acquistato recentemente dalla Cina delle batterie antiaeree. 
E qui, nei Balcani, riappare l’onnipresente Cina ed il suo rapporto, ritenuto da taluni solidissimo, con Mosca. Rapporto che, a nostro avviso, insieme a quello americano e a quello di alcuni Stati europei, potrà fare la differenza sul piano negoziale, soprattutto dopo che Pechino ha fatto più o meno chiaramente intendere, alla cinese, che non fornirà armi alla Russia. 
Siamo fermamente convinti che ora sia il momento giusto per imprimere un’accelerazione alle iniziative diplomatiche, naturalmente nei modi e nelle forme opportune. Tanto per essere chiari, nella massima riservatezza. E l’Italia deve e può svolgere un ruolo. Facciamo/lasciamo lavorare la diplomazia italiana, che ha tradizioni e professionalità che ci hanno sempre invidiato, senza farci intimorire dalle minacce russe, che vengano da Mosca, o dall’ambasciatore a Roma. Proseguiamo con determinazione sulla strada aperta dal premier Draghi per un’azione sinergica insieme agli Stati Uniti, ad alcuni principali partner europei e alla Cina per la pace e, prima ancora, per uno sblocco alla “guerra del grano” che rischia di provocare una catastrofe con danni incalcolabili che si ripercuoteranno sull’intero pianeta. 
Ma non perdiamo la bussola.

Leggiamo commenti secondo i quali l’Italia oggi non sarebbe più il “ventre molle” dell’Occidente. Sono commenti che restano offensivi e che respingiamo al mittente. Ma impegniamoci seriamente per una pace che tanti reclamano e che deve essere raggiunta per consentire all’Ucraina – che, ricordiamoci, deve dire la sua sulla pace - di vivere in sicurezza secondo libere scelte, per rendere giustizia alle migliaia di morti tra la popolazione ucraina, per garantire un futuro di pace ai popoli dell’Est Europa che vivono ancora nell’angoscia di ulteriori manovre espansionistiche russe per ricreare quella grande Russia zarista che i nonni di Putin avevano cancellato poco più di cento anni fa.


Ricordiamo a Putin che il merito del tanto criticato allargamento della Nato a Est è tutto suo, e non degli Stati Uniti o degli europei. Doveva arrivare al potere a Mosca il nipote dei rivoluzionari del 1917 per vedere Paesi di lunga tradizione neutrale come Svezia e Finlandia bussare alla porta della Nato per trovare protezione. Come dire che chi è causa dei suoi mal pianga sé stesso, non altri.

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