L’incapacità del G20 di parlare della guerra

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Lunedì 27 Febbraio 2023, 00:22

Che il G20 finanziario di Bangalore si sia concluso senza l’approvazione di un documento finale è una brutta notizia, a maggior ragione perché uno dei motivi ostativi è il rifiuto di alcuni principali partner, tra cui Cina e la stessa India che presiedeva il meeting (oltre, naturalmente, alla Russia), a scrivere la parola “guerra” nel documento: quasi che l’invasione dell’Ucraina possa, entrando nel tragicomico, diversamente denominarsi, forse in ricordo dell“operazione speciale” annunciata più di un anno fa da Putin. Eppure, costituito per far partecipare i Paesi in via di sviluppo, dovendosi integrare il G7 non più adeguatamente rappresentativo a livello mondiale, il G20 si può definire come l’istituzione internazionale che, più di altri, ha prodotto in passato decisioni che ancora oggi mantengono la loro validità (anche se poi scarsamente recepite dai singoli Stati) a cominciare dalle regole per la globalizzazione fino ai beni pubblici globali e alle relazioni economiche transnazionali.

E ciò in un contesto nel quale le istituzioni internazionali (il Fondo monetario, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio e il Financial stability board) avrebbero bisogno di una rivisitazione e di una forte rilegittimazione. Tutte le parole spese negli ultimi vent’anni per un nuovo ordine economico e monetario sono rimaste mere aspirazioni. La crisi finanziaria del 2008 non produsse granché in materia di regole e controlli anche in funzione preventiva, ad eccezione dell’indicazione - non a caso da parte del G20 - delle Global legal standard per le attività economiche e finanziarie nel contesto della globalizzazione.

Si arrivò persino a discutere di un nuovo “ius gentium”, un nuovo diritto internazionale. Della globalizzazione oggi si assiste a un certo ripiegamento che può toccare sia gli aspetti negativi del fenomeno - ed è benvenuto - sia quelli positivi che riguardano i commerci, la finanza, gli uomini. Bisogna sempre ricordare la frase dell’economista-filosofo francese Frédéric Bastiat: «Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti». 


Comunque, si deve purtroppo prendere atto che il G20, chiamato a confrontarsi con il problema dei problemi - quello della guerra, della vita delle persone, del futuro di non pochi Stati - ha segnato un default. Ma senza una chiarezza nell’alta politica, alla lunga non reggono le competenze nell’economia. Lo stesso multilateralismo, se si affermasse definitivamente, non vivrebbe senza istituzioni globali adeguate e senza convergenti visioni, almeno sul tema della guerra e della pace. Di qui la necessità di un’iniziativa a livello europeo, pur nella limitatezza della capacità dell’Unione in tema di politica estera; ma anche di una riflessione sulla situazione del conflitto e sull’aumento necessario dell’impegno per una ravvicinata cessazione del fuoco. 
Lo stesso viaggio in India programmato dal premier Giorgia Meloni può dare un contributo nella direzione di un chiarimento sui termini di quella che è una guerra subìta dall’Ucraina, ma anche sulla prospettiva della pace che è cruciale. Le armi non possono essere solo quelle militari. Il blocco del G20, da questo punto di vista, può essere un male che, però, contribuisce al bene.
 

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