Francesco Grillo
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Interessi comunitari/ La sfida dei partiti per il consenso alle elezioni europee

di Francesco Grillo
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Martedì 6 Giugno 2023, 00:24

Sono le elezioni più importanti del 2024. Si tengono esattamente tra un anno e possono cambiare nettamente la posizione dell’Europa su alcuni dei dossier decisivi (da quello sull’ambiente alle regole sull’immigrazione) e avere impatto sulla vita di tutti. Tuttavia, le elezioni del Parlamento europeo si svolgeranno senza quasi che ci siano partiti europei a contendersi la vittoria e rischiano di essere nuovamente la somma di 27 sterili competizioni nazionali.

Uno dei pochi leader ad essersi accorto dell’importanza e delle contraddizioni delle elezioni del prossimo Parlamento europeo, è Giorgia Meloni: fieramente contraria all’antica ipotesi di trasformare l’Unione Europea in una federazione di Stati, è alla guida del gruppo politico europeo destinato a crescere di più. Ed è da questo dato che può partire un discorso sulla democrazia europea che sia nuovo. Ai partiti politici europei viene riconosciuta dal Trattato che disciplina il funzionamento dell’Unione Europea (articolo 10) un ruolo fondamentale: essi, infatti, «contribuiscono a formare una coscienza politica a livello continentale e ad esprimere la volontà dei cittadini europei». Per partito politico europeo si intende un soggetto diverso da quelli che in ciascun Paese svolgono un ruolo simile: un partito politico europeo deve formare opinioni pubbliche e proposte che attraversino i confini nazionali. Ad essi corrispondono i gruppi all’interno del Parlamento e un finanziamento – circa 45 milioni di euro all’anno - rigorosamente pubblico.

E ciascuno di loro viene supportato da una fondazione che fa da “think tank” (così come una volta i partiti italiani avevano centri studi da quello dedicato a Gramsci a quello ispirato da De Gasperi che fornivano idee e teorie). La “coscienza politica” che i partiti politici europei devono formare, è, tuttavia, ancora molto debole. Un sondaggio svolto dalla London School of Economics subito prima delle ultime elezioni europee del 2019, indicò che meno della metà dei cittadini tedeschi sapeva che ci fosse un Parlamento europeo che avrebbero dovuto eleggere. Quello della debolezza dei partiti politici europei è, in realtà, un paradosso sia sul piano del potere che del consenso. Su quello del potere perché quasi tutte le politiche più importanti – dalle regole sull’ambiente a quelle sull’immigrazione – sono decise a livello comunitario. Del resto, è l’Europa ad avere la scala minima per poter contare rispetto a certi fenomeni globali. Ma anche sul piano del consenso, converrebbe ai partiti nazionali collegare in maniera convincente la dimensione locale a quella europea, per evitare negli elettori quella sensazione di impotenza che allontana tanti. Mancano idee ed è su un piano internazionale (già successe nell’Ottocento quando nacquero i grandi movimenti politici di massa) che vanno ritrovate.

Tra i cinque grandi partiti politici europei (popolari, socialisti, liberali, conservatori e verdi) ci sono, peraltro, intese possibili sui grandi temi (dall’Ucraina al superamento del meccanismo dell’unanimità) che risultano, invece, impossibili quando ci si prova a mettere d’accordo tra 27 Paesi. È per superare questi paradossi, che fanno male al rapporto stesso tra cittadini e istituzioni, che si tiene dall’8 al 10 di giugno la grande conferenza sul futuro dell’Europa (a Siena) e alla quale partecipano appunto i “Think tank” di tutti i cinque grandi partiti politici europei.

Ad un anno esatto dalle elezioni europee per riflettere sulle regole comuni. Tre le ipotesi che verranno sviluppate. Innanzitutto la legge elettorale. I tentativi di prevedere che un numero di europarlamentari vengano da una lista transnazionale concepita dall’alto sono ripetutamente falliti. Una proposta diversa è lasciare agli elettori la libertà di aderire a collegi elettorali europei nei quali, eventualmente, scegliere candidati diversi da quelli del proprio Paese. Premiando, peraltro, i partiti politici europei quanto più diversificata territorialmente è la propria rappresentanza nel Parlamento.


Al finanziamento pubblico può essere aggiunta, poi, una più consistente possibilità di ricorrere a quello da parte di privati, conservando un obbligo di totale trasparenza e ponendo limiti su donazioni provenienti da una singola organizzazione o Paese terzo.  Non si capisce, peraltro, perché non sia stata ancora prevista la possibilità che il singolo elettore aderisca direttamente al partito politico europeo: tale previsione incoraggerebbe soprattutto i più giovani. Infine, il rapporto con i partiti politici nazionali. Il finanziamento pubblico potrebbe incentivare la visibilità del programma di quelli europei sulle schede elettorali e sui siti dei gruppi nazionali. Anche se ciò dovrebbe essere già nell’interesse dei partiti, i quali hanno l’assoluta necessità di trovare le proposte e le persone che siano capaci di partecipare a partite che si giocano su un piano che non è più quello che si può osservare dalla singola capitale europea.


Quello europeo è il contesto che ha condizionato – più di qualsiasi altro fattore – la storia della politica italiana negli ultimi 30 anni. Per riuscire a trasformare i vincoli in risorsa, bisogna riuscire a organizzare una rappresentanza politica che non sia più solo nazionale. Ciò richiede una svolta concettuale netta e stabilire, una volta per tutte, che «creare coscienza politica europea» non significa difendere ad oltranza uno status quo che non è più adeguato alle sfide di un secolo velocissimo.


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