Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Leader contro/ La politica degli slogan per evitare impegni seri

di Paolo Pombeni
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Martedì 23 Agosto 2022, 00:21

Se fai notare che i leader politici più che parlare di programmi si dilettano (si fa per dire) a punzecchiarsi quando non a polemizzare sui social con argomenti di tutti i generi, provochi la loro sdegnata reazione: ogni partito ha il suo programma con punti vari e proclami su un buon numero di temi. Vero, ma, anche a prescindere dalla vaghezza di quei documenti, difficile non rilevare che la campagna elettorale si va conducendo più che altro con la foga di denunciare scheletri, scheletrini e ossa varie negli armadi degli avversari che prontamente rilanciano aprendo quelli dei denuncianti e dei loro amici.

Tutto risponde allo schema comunicativo dei “buoni” contro i “cattivi”. Non certo una novità negli scontri politici e in specie elettorali, ma fino a qualche tempo fa in compresenza di più o meno ampi dibattiti sulle cose da realizzare e soprattutto sul come farlo (dovrebbe essere qui che si sviluppa il confronto per valutare punti di possibile incontro e credibilità delle diverse soluzioni proposte). Oggi a scusante si può prendere il fatto inedito della campagna elettorale che è breve, estiva ed arrivata quasi all’improvviso, sicché diventava quasi obbligato correre a solleticare la pancia dell’opinione pubblica, puntare a far crescere le distanze fra “noi” e “gli altri”, sfruttare quelli che vengono ancora immaginati come riflessi di Pavlov della psicologia dell’elettore (destra vs. sinistra, rivoluzionari vs. reazionari, e avanti di questo passo).

Eppure questo impoverimento del confronto politico non è senza costi pesanti. Ovviamente il lato buono per i leader politici consiste nel dispensarli dall’impegnarsi in proposte che poi si riveleranno fasulle o comunque non troveranno realizzazione, anche se c’è poca tradizione di chiedere conto della fine che fanno le promesse elettorali (se così fosse ci sarebbe meno longevità in molti politici e molti cambi di casacca sarebbero quantomeno più complicati). 

Il lato cattivo, molto cattivo per il paese è che non si produce vera governabilità, perché è impossibile averla senza impegni specifici frutto di elaborazioni responsabili. D’accordo: il tempo, che non è mitico perché sta nella nostra storia, in cui i partiti avevano uffici studi, convegni di progettazione e proposizione è passato da un pezzo: eventi come i convegni di San Pellegrino della Dc, quelli sulle dinamiche del neocapitalismo del Pci, quello sui meriti e i bisogni del Psi (giusto per citarne alcuni) non sono più nel ricordo se non di chi ne è stato testimone magari indiretto o si occupa di queste cose per professione.

Come stupirsi allora se il ruolo del parlamento è sempre più modesto, perché se va bene fa il governo coi suoi tecnici altrimenti c’è il vuoto, se la selezione dei candidati, salve sempre lodevoli eccezioni, è fatta più sulla base di meriti di corrente o su quella di contributi di visibilità (vuoi come individui che vanno in tv, vuoi come maschere che rispondono alle mitologie del momento)? E dire che tutti ci ripetono che stiamo per entrare in una fase molto difficile, che avremo davanti mesi cruciali e via elencando.

Non sarebbe il momento di chiamare a raccolta il consenso pubblico intorno non a bandierine confezionate con gli scampoli di moda, ma a progetti dettagliati su cui costruire un confronto a partire dalla ricerca di obiettivi comuni per i quali poi si valuteranno le possibili diverse modalità di intervento?

Non occorre uno sforzo titanico per capire che su questo terreno si potrebbe costruire quel percorso di legittimazione reciproca, almeno fra le forze maggiori, di cui si lamenta la mancanza quando si parla in astratto (perché in concreto va benissimo continuare nella demonizzazione reciproca)?. Certo sono terreni scivolosi, perché quando si deve entrare nel dettaglio, quando si è obbligati a lasciare il mondo degli slogan, si è costretti ad ammettere che problemi complicati non ammettono soluzioni semplici. Fra il resto un approccio al confronto politico che si basasse sull’analisi comparata dei problemi in campo ristabilirebbe quel dialogo fruttuoso con la società civile che oggi è persino compressa nel suo diritto alla scelta comparata sui candidati da una pessima legge elettorale studiata per costringere chi vota ad adeguarsi a quel che è stato deciso da una oligarchia politica.

E’ ormai troppo tardi per raddrizzare il tiro? In realtà c’è un mese di tempo che ci separa dall’ingresso nella mitica “cabina” e sappiamo bene che gran parte degli elettori è in questa fase che affina o che addirittura giunge alla propria scelta. C’è gran dibattito sui confronti da fare in Tv (pubblica e private), impazzano i talk show, e dunque ci sarebbe spazio per espungere l’esibizione delle lotte dei vari gladiatori mediatici, per marginalizzare se non escludere le pretese di protagonismo che salgono oltre che dai protagonisti da una folla di comparse, puntando invece a seri confronti sui temi chiave di questo difficile passaggio.
Sempre senza sventolio di bandierine, ma con una severa analisi dei problemi che ci troviamo di fronte e delle soluzioni possibili, con la consapevolezza che quelle serie hanno tutte sia luci che ombre per cui il compito della politica sarà bilanciarle.

Possibilmente con il coinvolgimento di quei ceti riflessivi della società civile che sono interessati a contribuire alla stabilizzazione del nostro sistema economico, sociale, culturale e di conseguenza politico. 
Volendo si potrebbe fare, basta giusto non farsi condizionare da quelli che con questo cambio di musica non sarebbero più in grado di suonare.

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