Roberto Arditti

La strategia di Conte: “tabula rasa” per il M5S

di Roberto Arditti
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Martedì 3 Gennaio 2023, 00:01

Giuseppe Conte gioca pesante ed è oggi punto di riferimento solido dell’opposizione al governo Meloni. Lo dimostrano i sondaggi, che danno al M5S un vantaggio sensibile sul Pd nella classifica dei consensi, lo dimostra il ruolo che si è ricavato nelle dinamiche di rappresentanza con la battaglia sul reddito di cittadinanza e lo dimostra una certa abilità manovriera che gli vale molte critiche ma anche una oggettiva centralità nel dibattito nazionale, condizione che nella storia del movimento hanno avuto soltanto Grillo e Casaleggio nella (lunga) prima fase di contestazione al sistema e Di Maio nella breve stagione del governo giallo-verde.
È quindi molto interessante analizzarne le mosse, anche perché si vede in controluce un disegno non di breve periodo, quindi potenzialmente in grado di influire anche oltre la durata della legislatura in corso. Per spiegarci meglio però occorre fare un (breve) passo indietro, volgendo lo sguardo a quanto accaduto negli ultimi due anni.

Conte subisce l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi ma approfitta della “pausa” tra il 2020 e il 2022 per fare tre cose (per lui) di grande importanza. Archivia nella sostanza il ruolo di Beppe Grillo, ormai svogliato padre nobile, agevola l’uscita di scena dell’unico concorrente interno (Di Maio) in grado di impensierirlo e si impossessa totalmente del movimento attraverso l’applicazione rigida della regola dei due mandati, strumento cui nessun grillino può opporre resistenza ma che consente al professore di spazzare via un’intera classe dirigente scegliendo lui (e solo lui) i nuovi eletti uno per uno.

Nel mentre gli viene fornita (anche con la maldestra collaborazione proprio di Di Maio) su un piatto d’argento l’occasione di anticipare la fine del governo Draghi, consentendogli così di consumare una vendetta (la politica è anche questo e chi non lo ammette è un ipocrita) che covava da mesi. Ecco quindi il Conte di oggi: capo assoluto del movimento, considerato leader del principale partito di opposizione, punto di riferimento di un pezzo (più al sud che al nord) di società nazionale. Guardiamo adesso al prossimo appuntamento elettorale, peraltro il primo dopo le politiche, cioè il voto per due regioni: Lazio e Lombardia.

Cosa fa Conte, dopo aver vinto la scommessa della corsa solitaria alle elezioni nazionali? Fa due cose, una più interessante dell’altra. Due cose apparentemente illogiche ma in realtà figlie di un disegno preciso e meditato.

La prima riguarda il Lazio, regione centrale nel sistema di potere della sinistra italiana da dieci anni al governo con Nicola Zingaretti. Qui, nonostante lo storico rapporto con esponenti influenti come Goffredo Bettini, Conte evita ogni accordo con il Pd e decide di andare in solitaria alle elezioni, candidando a presidente Donatella Bianchi, volto noto della Rai e già alla guida del Wwf. La seconda mossa è per la Lombardia, dove invece l’ex premier sceglie l’accordo con Pierfrancesco Majorino, candidato del Pd contro la Moratti e Fontana: scenario che avvia un dialogo per la prima volta concreto tra forze di opposizione al governo nazionale.
Ora, guardando un po’ sbrigativamente al tutto verrebbe da dire che Conte è un po’ matto, nel senso che fa l’accordo con il Pd dove la probabilità di perdere è alta (Lombardia) e non lo fa dove l’accordo è quasi certamente unico strumento utile per vincere (Lazio). In realtà la mossa è più sofisticata di così, pur tenendo conto delle influenze di carattere locale (a Roma il candidato del Pd Alessio D’Amato è sostenuto anche da Calenda e Renzi, assolutamente non compatibili con il M5S).

Conte vuole un movimento il più possibile slegato da dinamiche di potere nazionale o locale, quindi per lui gli assessori regionali (a maggior ragione se nella Capitale) sono un problema, non una opportunità. La sua azione di rifondazione prevede una fase nella quale nessuno deve essere in grado di condizionarlo, di tirarlo per la giacca. Perché questo accada serve essere all’opposizione tutti quanti, senza deleghe amministrative, posti in giunta, staff e auto blu. Solo così il movimento diventerà del tutto Conte-dipendente, come peraltro sono ormai gran parte dei soggetti politici in giro per l’Europa (si veda alla voce Macron, tanto per fare un esempio). Insomma Conte ha una strategia precisa, chiamiamola “tabula rasa”: forse poco elegante come definizione, ma non lontana dal vero.

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