Giuseppe Vegas
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Fasce di reddito/Il (forte) peso del fisco sulla classe media

di Giuseppe Vegas
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Sabato 11 Novembre 2023, 23:49 - Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 00:06

Pochi giorni fa è stato illustrato al Cnel l’ultimo rapporto di Itinerari Previdenziali, che offre una impietosa fotografia dell’Italia, mostrata dall’angolo visuale di chi paga le tasse. In realtà, l’analisi è svolta con riferimento esclusivo all’imposta sui redditi delle persone fisiche, l’Irpef, e quindi non tiene conto delle imposte indirette, prima fra tutte l’Iva, ma anche, ad esempio, delle accise sulla benzina. 


Se si guarda alle imposte indirette si può notare una certa differenza tra i redditi dichiarati e i danari utilizzati per acquistare beni e servizi. Dal che si potrebbe desumere che esista un’area nella quale non viene sempre dichiarato tutto ciò che si percepisce e che probabilmente esiste qualche luogo di evasione fiscale. 
D’altra parte, in molte situazioni altrimenti non si comprenderebbe come in alcuni casi sia possibile mantenere un apparente tenore di vita superiore a quello consentito dalle entrate.


I dati, inoltre, si riferiscono al 2021. Nel frattempo la realtà è cambiata. E non in meglio. Due anni fa l’economia stava ripartendo dopo la pandemia. Oggi, malgrado i dati incoraggianti sull’occupazione, dobbiamo confrontarci con due conflitti in corso, con una fiammata inflazionistica che ha sconvolto i conti di imprese e famiglie, con i crescenti costi delle materie prime e con le difficoltà in cui si muove il mondo produttivo. 

In sostanza, i dati contenuti nel rapporto andranno sicuramente aggiornati per tener conto della nuova situazione. Ma ciò che importa, e preoccupa, è la direzione verso la quale si è incamminato il Paese.


Il rapporto offre un’immagine dell’Italia che agli occhi di molti commentatori è stata descritta come “un paese di poveri”. La realtà non è forse così tragica, ma non si sbaglia se si afferma che emerge un Paese arretrato.
I commenti si sono prevalentemente concentrati sul fatto che, in base a quanto emerge nel rapporto in questione, il 40 per cento circa della popolazione dei contribuenti pagherebbe per il 60 per cento di quanti non presentano neppure la dichiarazione dei redditi, oppure versano somme irrisorie. Quindi il motivo dello scandalo sarebbe quello che pagano troppo pochi e sostanzialmente tutto l’onere fiscale è sulle loro spalle. 
Occorre invece domandarsi se sia proprio questo il problema. Dato che lo Stato in sostanza non funziona in modo molto diverso dalle famiglie, si può valutare la questione secondo un approccio di carattere generale. Se per ipotesi in una famiglia lavorasse solo il capofamiglia mentre tutti gli altri componenti sarebbero a suo carico, nessuno potrebbe sollevare obiezione alcuna. Chi guadagna è in grado di mantenere chi non ha redditi: la solidarietà familiare risolve il problema.


Anche nelle comunità funziona, o dovrebbe funzionare, nello stesso modo. D’altronde, la nostra Costituzione contempla il principio della capacità contributiva, che è stato ulteriormente declinato in quello della progressività del sistema tributario.


Naturalmente si sono verificati eccessi in materia. La capacità contributiva è stata intesa, a differenza dell’originaria idea di Ezio Vanoni in sede di Assemblea costituente, non come possibilità concreta di pagare, ma come diritto da parte dello Stato di esigere di più da chi dispone di maggiori redditi. 


Quanto poi alla progressività, essa è stata limitata alla sola imposta diretta sui redditi.

Con la conseguenza di verticalizzare eccessivamente la curva delle aliquote dell’Irpef. Basti pensare che, pur restando nel campo dei redditi medi, chi supera la soglia dei 28 mila euro annui si vede improvvisamente obbligato a pagare ben il 12 per cento in più su ogni euro aggiuntivo. Gli aggiustamenti e le mitigazioni che possono derivare dal sistema delle detrazioni e deduzioni e dal calcolo dell’Isee potranno forse portare qualche sollievo, ma non mutano i termini della questione e comunque rendono meno trasparente il rapporto fiscale. E, si sa, minore è la trasparenza e maggiore è la convenienza all’elusione, se non all’evasione.


Il vero problema, dunque, non è tanto che pochi pagano per molti, ma che tra i pochi che pagano siano ricompresi anche quelli che non se lo potrebbero permettere. Sempre secondo il rapporto citato, vengono considerati benestanti coloro che hanno redditi superiori a 55 mila euro annui. Si tratta di un limite che andrebbe rivisto, dato che, a decorrere già dal 2023, entrano nell’ultimo scaglione Irpef, quello per cui si paga il 43 per cento del proprio reddito, anche i percettori di entrate superiori ai 50 mila euro.


Orbene, il tema vero è se possiamo ragionevolmente considerare parte della componente affluente della società chi ha redditi di 50 mila euro o poco più. Chi dispone di una simile somma forse potrà vivere agiatamente, a condizione che debba mantenere solo se stesso, e magari disponga anche di qualche bene al sole. 


Ma se la realtà è solo leggermente diversa, non gli mancheranno comunque preoccupazioni per arrivare a fine mese. Si tratta di persone che appartengono ad un gruppo sociale che definire agiato, nelle condizioni attuali, discende solo da un postulato ideologico e non reale. Analogamente si può dire poi della classe sociale rappresentata dalla fascia di reddito superiore ai 28 mila euro, anch’essa compresa dall’indagine tra quelli che sono chiamati a pagare. 


Il paradosso che emerge dallo studio è dunque che anche chi non se lo può permettere è tenuto a far fronte al complesso della spesa fiscale. In sostanza, l’onere viene posto a carico, oltre che dalla parte più affluente della società, anche ad un presunto ceto medio. Che però nei fatti non esiste più, proprio a causa dell’eccessivo gravame degli oneri fiscali. 


Si tratta di individui che operano aspirando ad un più elevato standard di vita e danno corpo all’unico vero motore di sviluppo della società. Essi si impegnano ogni giorno per accrescere il loro benessere e, con il proprio, anche quello della collettività. 
Ma se per ogni euro in più guadagnato ne dovranno versare allo Stato una percentuale crescente, saranno indotti, quando non a ricercare scappatoie, a fermarsi. E se si ferma la middle class, si ferma il Paese. Rischio che stiamo gravemente correndo.

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