Paolo Balduzzi
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Aliquote Irpef/ Gli effetti (differenti) della riforma del Fisco

di Paolo Balduzzi
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Domenica 5 Marzo 2023, 00:00

Nel Paese dove si cambia tutto per non cambiare mai niente, come ci ha impietosamente (ma anche splendidamente) dipinto Giuseppe Tomasi di Lampedusa 65 anni fa ne “Il Gattopardo”, non stupisce che da cinquant’anni, cioè dalla sua introduzione, il legislatore discuta di come riformare l’Imposta sui redditi delle persone fisiche, nota a tutti come Irpef. 

Quasi nessuna legislatura, nel frattempo, si è fatta mancare la sua apposita commissione tecnica o bicamerale sul tema. Qualcuna, addirittura, è arrivata ad approvare una legge delega. Nessuna, tuttavia, ha mai partorito una riforma degna di questo nome. Eppure il tema fiscale accompagna regolarmente ogni campagna elettorale. Imposte di successione, imposte sulla prima casa, accise sui carburanti, imposta sul reddito: promesse a volte mantenute e a volte dimenticate, salvo poi essere riproposte qualche anno dopo a elettori troppo spesso distratti o semplicemente troppo ottimisti. 

L’occasione di tornare sul tema è data dall’annunciata riforma del governo che prevede, entro il 2024, la riduzione delle aliquote Irpef dalle attuali quattro a tre (erano cinque due anni fa) e un ridisegno strutturale degli sconti o spese fiscali, vale a dire di quel sistema di deduzioni e detrazioni che concorre a determinare il carico dell’imposta. 

Iniziativa lodevole, sia chiaro; ma sul fisco, forse più che su ogni altro argomento, le valutazioni si fanno sui dettagli e non sulle semplici intenzioni. 
Perché piccole differenze possono avere rilevanti effetti, sia di gettito sia redistributivi. Per quanto riguarda deduzioni e detrazioni, gli sconti oggi valgono, a seconda delle stime, tra i 70 e i 125 miliardi di euro. Già il fatto che l’informazione non sia nota nemmeno al legislatore, che infatti si è dotato di una Commissione apposita per un loro monitoraggio, la dice lunga sulla necessità di un intervento.
Considerando che il gettito dell’Irpef vale circa 200 miliardi di euro l’anno, la dimensione delle spese fiscali è più che considerevole. Vale però la pena di ricordare che in questo ammontare vengono considerate tanto misure intoccabili, come la detrazione integrale per la prima casa, quelle per tipologia di reddito o quelle per le spese mediche, quanto interventi più discutibili, come la marea di bonus fiscali che da tempo ormai caratterizzano il nostro sistema.
Fare ordine, e farlo soprattutto bene, sarebbe il primo vero esempio di revisione della spesa efficace in questo Paese, dopo le fallimentari esperienze di commissioni e commissari dell’ultimo decennio. In altre parole, è sicuramente possibile recuperare risorse, gettito e anche equità con un intervento di analisi certosina degli sconti, senza cedere alla tentazione di una sforbiciata identica per tutte le spese coinvolte.
Per quanto riguarda le tre aliquote, invece, potrebbe essere il compromesso che permette di salvare la necessità di semplificazione, senza cedere alle sirene della flat tax con tutti i sui problemi, con la garanzia di un’adeguata progressività dell’imposta. 
Ma qui la questione diventa dirimente: su chi cadrà l’onere maggiore della nuova Irpef? Di nuovo sugli stessi cittadini? C’è una categoria di contribuenti, quasi sempre lavoratori dipendenti e con un reddito tra i 30 mila e i 55 mila euro, che corrisponde a meno del 15% della popolazione, che contribuisce per quasi il 35% del gettito dell’imposta, e che da sempre si sente il bancomat dello Stato. 

Una categoria che versa certamente di più di chi ha di meno, ed è giusto così, ma troppe volte anche di meno di chi ha di più, perché i redditi più elevati sono di natura diversa. 
Sono i contribuenti onesti che hanno sempre fatto il loro dovere e che tanto pagano ma che poco, pochissimo ricevono in cambio.

E che anche un anno fa, con la riduzione del numero di aliquote, ci hanno rimesso. Se riforma sarà, come ci si augura, una volta tanto, forse, bisognerebbe partire proprio da loro. 

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