I dirigenti del Tesoro erano accusati di un danno erariale da 3,9 miliardi di euro. La contestazione riguardava la «negligenza» e «imperizia» del ministero dell'Economia nell'inserimento nel contratto con la banca di una specifica clausola di uscita anticipata dai derivati, l'Ate, e del pagamento a Morgan Stanley, che ne rivendicava l'attuazione, di 3,1 miliardi di euro, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica del Paese, a fine 2011. All'udienza la banca aveva contestato proprio la giurisdizione della Corte dei Conti in materia, chiedendo che a giudicare fosse la magistratura civile.
Il difetto di giurisdizione della Corte viene riconosciuto, si legge nel dispositivo, «per mancanza del rapporto di servizio nei confronti di Morgan Stanley e insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali con riferimento agli altri appellanti».
Soddisfatti i difensori di Maria Cannata Giuseppe Iannaccone e Riccardo Lugaro: «Siamo lieti di questa sentenza, della quale non siamo per nulla sorpresi, perché - spiegano - ha confermato le capacità e l'integrità di un funzionario pubblico, la dottoressa Cannata, a cui la Repubblica Italiana deve essere grata per il lavoro svolto con abnegazione anche in anni estremamente difficili».
Oltre ai due ex ministri e alla ex responsabile del debito pubblico, ad essere coinvolto nel caso ormai archiviato era stato anche l'ex direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via.
«In genere non commento le cause e le sentenze ma questa volta sono proprio contento che sia stato affermato un principio di insindacabilità delle scelte amministrative di merito, il che darà coraggio ai vertici delle nostre amministrazioni e consentirà loro di svolgere la funzione pubblica con maggiore fiducia». È quanto afferma Antonio Catricalà, che ha difeso Morgan Stanley di fronte alla Corte dei Conti.
«Apprendiamo con soddisfazione la notizia della decisione assunta oggi dalla Corte dei Conti», commenta infine Morgan Stanley.
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