in risposta all'atteggiamento «prepotente» dell'amministrazione americana di Donald Trump assicurando che Pechino «difenderà con fermezza i suoi diritti e interessi legittimi». Scopo, precisa una nota, è la tutela del sistema multilaterale del commercio e l'ordine del commercio internazionale «nel rispetto delle regole definite» nell'ambito del Wto, l'istituzione di regolamentazione del commercio su scala planetaria, contenziosi inclusi.
Cina e Usa sono alle prese con un duro braccio di ferro che ha portato a un'esclation dello scontro, di fronte allo stallo negoziale, malgrado le buone intenzioni espresse dalle parti. «Questi dazi americani violano gravemente il consenso raggiunto dai leader dei nostri due Paesi a Osaka - ha rilevato ancora il ministero del Commercio, menzionando atteso faccia a faccia tenuto a Osaka a fine giugno, a margine del G20, dai presidenti Xi Jinping e Trump -. La parte cinese è fortemente contrariata e vi si oppone con forza».
L'ultima mossa di Washington è entrata parzialmente in vigore allo scoccare della mezzanotte di domenica: dazi subito al 15% su beni cinesi per 125 miliardi, con la parte residua operativa dal 15 dicembre. Pechino ha risposto a stretto giro, mettendo nel mirino 75 miliardi di dollari di made in Usa, sempre dall'1 settembre con aliquote extra del 5-10% su 1.717 prodotti iniziali (dei totali 5.078 provenienti dagli Stati Uniti) e con la parte residua colpita dal 15 dicembre.
La Cina, per la prima volta dallo scontro, ha sanzionato anche al 5% l'import di petrolio dagli Usa. La guerra commerciale ha generato effetti a livello globale, al punto che lo spettro della recessione è decisamente più concreto. Dopo il consenso Trump-Xi di Osaka, il tycoon, al recente summit G7 in Francia, ha parlato di nuove comunicazioni tra i negoziatori delle due parti dando ai mercati finanziari una boccata d'ossigeno, mentre il ministero degli Esteri di Pechino ha detto di non essere a conoscenza di tali contatti. «L'escalation delle frizioni commerciali non risolveranno il problema», ha ammonito il Quotidiano del Popolo, la voce del Partito comunista cinese.
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