In Borsa non si grida più, scatta il diritto al silenzio

In Borsa non si grida più, scatta il diritto al silenzio
di Angelo Ciancarella
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Mercoledì 21 Aprile 2021, 07:32 - Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 09:29

Il diritto al silenzio non vale solo per gli imputati (e i condannati). Vale anche davanti alla Consob e a tutte le Authority dotate di poteri di accertamento e sanzionatori, dalla Banca d'Italia all'Antitrust. E, forse con un percorso meno automatico e immediato, varrà anche per gli accertamenti fiscali. Il dovere di collaborazione con le Agenzie non potrà più travolgere il diritto di non rispondere, finora considerato di ostacolo alle pubbliche funzioni e perciò punibile di per sé: questa è la decisione della Corte costituzionale.
A muovere la montagna è stato un sassolino che risale a fatti del 2009, quando il prestigioso marchio FMR, già da tempo ceduto dal fondatore Franco Maria Ricci a Fmr Art'è e quotato al Mercato telematico, fu oggetto di un'Opa volontaria da parte di una piccola società controllata dai medesimi azionisti-amministratori. Uno dei quali, a decisione presa ma non ancora comunicata al mercato, fece incetta di titoli e consigliò a una sua dipendente di fare altrettanto. Nel 2012 la Consob sanzionò l'abuso di mercato con la pena pecuniaria di 350mila euro e la confisca di due immobili.

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LA VIOLAZIONE
La violazione era evidente e documentale: l'amministratore accettò la sanzione principale per l'abuso di informazioni privilegiate (200mila euro) e, sul versante penale, patteggiò la pena. Ma contestò le sanzioni aggiuntive, in particolare quella di 50mila euro per aver «procurato ritardo all'esercizio delle funzioni della Consob». Era vero, ma l'impronunciabile articolo 187-quinquiesdecies del Tuf (il Testo unico della finanza) lascia poca scelta al malcapitato, perché punisce allo stesso modo «chiunque non ottempera alle richieste della Banca d'Italia e della Consob, ovvero non coopera con le medesime autorità () o ritarda l'esercizio» delle funzioni di vigilanza. In altre parole, se ti convoco devi presentarti e parlare; se tardi o non parli sei punibile per il fatto stesso di aver scelto questo comportamento.
Dopo un passaggio (perdente) in Corte d'appello a Roma, la questione è arrivata in Cassazione, che l'ha rimessa alla Corte costituzionale, che si è rivolta alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

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L'impronunciabile articolo del Tuf è infatti sospettato di illegittimità costituzionale e anche di violare la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e perfino la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e il Patto Onu sui diritti civili e politici: insomma l'universo mondo giuridico, da quasi dieci anni, è chinato su un comportamento illecito sanzionato con poche decine di migliaia di euro.
E ora la Corte costituzionale ha emesso il verdetto. La scorsa settimana, mentre si occupava della nota questione del diritto al silenzio degli ergastolani condannati per reati di criminalità organizzata, ha discusso e deciso anche il diritto al silenzio nei procedimenti amministrativi. Se possiamo parlarne senza ancora conoscere la motivazione, è perché si tratta di una sentenza praticamente obbligata. Potrà essere di illegittimità o interpretativa, la sostanza non cambia: non contraddirà il principio affermato il 2 febbraio dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, alla quale la stessa Corte costituzionale aveva posto la questione pregiudiziale.
LA CORTE UE
La Corte Ue ha infatti risposto che le norme europee dalle quali derivano quelle interne «consentono agli Stati di non sanzionare (chi) si rifiuti di fornire risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale».

Ciò che le norme europee consentono, per non essere in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, le norme interne impongono, per non essere in contrasto con la Costituzione.


E non induca in errore la formula adottata dalla Corte di giustizia sulle «sanzioni amministrative aventi carattere penale»: anche le sanzioni pecuniarie o interdittive irrogate dalle Authority, quando sono particolarmente afflittive, sono equiparate alle condanne penali. Al punto che, ove sia già intervenuta una grave sanzione amministrativa, è preclusa la condanna penale successiva, per l'antico principio ne bis in idem (sentenza Grande Stevens della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Fiat-Exor che data 2014).

NOVITÀ DIROMPENTI
Un principio formalmente pacifico nel procedimento penale (ma anche lì molto insidiato) sta dunque per fare irruzione nei procedimenti sanzionatori a tutela dei mercati. E presto scuoterà gli accertamenti tributari, dove il diritto al silenzio, spesso negato, è oggetto di una giurisprudenza di Cassazione molto contraddittoria. Novità dirompenti non tanto sul piano economico, ma certo su quello comportamentale e culturale. Non che d'ora in poi si possa ostacolare l'accertamento di abusi di mercato o di evasioni fiscali. Gli illeciti restano tali, le prove documentali anche, ed è reato occultarle. Vale (per limitarci all'ambito finanziario) l'articolo 2638 del Codice civile: Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza attraverso la falsificazione di fatti materiali o l'occultamento fraudolento di fatti per i quali sussiste un obbligo di comunicazione. Ma l'obbligo di rispondere, no: è travolto dal diritto al silenzio.
 

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