Giochi di Stato, la riforma che verrà: riordino delle sale e soldi agli enti locali

In cinque anni dimezzata la presenza dei punti-scommessa. Ma dopo la “cacciata” da Comuni e Regioni ha preso piede il fenomeno phygital

Giochi di Stato, la riforma che verrà: riordino delle sale e soldi agli enti locali
di Andrea Bassi
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Mercoledì 7 Giugno 2023, 10:34 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 07:51

L'effetto che sta venendo a galla nel settore del gioco pubblico è quasi paradossale.

Per anni le Regioni e gli enti locali hanno provato a ridurre la presenza di sale giochi, centri scommesse e slot machine sui loro territori. E a dire il vero ci sono in parte anche riuscite. Solo che le persone hanno continuato a giocare come e più di prima. E lo Stato ha continuato a incassare il suo ricco dividendo. Per capire cosa sta accadendo viene in aiuto un documento depositato da Astro, una delle associazioni aderenti a Confindustria che rappresenta gli operatori del gioco pubblico. Alla fine dell’anno scorso, secondo i dati del documento agli atti, l’offerta “fisica” di gioco poteva contare su poco più di 51 mila punti vendita: 30 mila bar, 8.500 tabacchi, altri 2.200 esercizi generalisti, 2.200 sale slot, 2.200 sale giochi, 177 sale bingo, 2.100 agenzie di scommesse, altri 1.800 negozi di gioco e 1.200 cosiddetti corner. Cinque anni fa, quando per la prima volta si provò a “razionalizzare” l’offerta, i punti erano 98.600. Insomma, oggi ce ne sarebbero quasi 50mila in meno. Prima della pandemia il settore raccoglieva 110 miliardi, nel 2021 ne ha raccolti 111, nel 2022 si sono sfiorati i 135 miliardi con un gettito per lo Stato di 11 miliardi.

IL NODO DA SCIOGLIERE

Spostare le sale nelle periferie ha avuto semmai un altro effetto. Sono stati favoriti, spiega sempre il documento di Astro, «i giocatori affetti da dipendenza che nell’isolamento, il quale garantisce riservatezza, trovano il proprio habitat naturale». E inoltre, ma su questo concordano tutti, persino l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli che regolamenta il settore, a rimpiazzare le attività legali è arrivato l’illegale. A tirare le somme, dopo anni di stretta da parte delle Regioni e degli enti locali, che hanno stabilito regole sulle distanze dai luoghi sensibili impossibili da rispettare e orari di apertura punitivi, la conseguenza è stata da un lato aver relegato il gioco in “riserve indiane” dove, lontano dagli sguardi indiscreti, le persone più a rischio hanno aumentato le loro giocate e, dall’altro, si è consegnata una fetta del mercato all’illegalità. «L’effetto espulsivo conseguente all’introduzione dei limiti di distanza», ha spiegato il direttore dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, Roberto Alesse, «ha comportato di fatto, in molti casi, la sostituzione dell’offerta di gioco legale e controllato con forme di raccolta illecita, ovvero con forme che utilizzando in maniera illecita il canale online o nuove modalità di offerta di intrattenimento non ancora regolamentate e potenzialmente foriere di rischi».

LA ZONA GRIGIA

Quest’ultimo riferimento è a un fenomeno che nel settore è stato ribattezzato come “phygital”, una crasi tra “fisico” e “digitale”. Negli ultimi tempi, man mano che le Regioni hanno cacciato le sale dai centri abitati, lo spazio lasciato vuoto è stato riempito dai Pvr, i cosiddetti «Punti virtuali di ricarica». È lo sbarco in strada delle scommesse online. Questi punti, non regolamentati, permettono di ricaricare le schede per le giocate online e di incassare in contanti le vincite. Secondo censimenti non ufficiali ci sarebbero in giro tra 70 e 90 mila punti. Una zona grigia che per il momento sfugge ai radar delle regole e che è stata favorita dal boom dell’online favorito dalla pandemia e dall’espulsione del gioco fisico. Il momento di un riordino complessivo del settore dei giochi dunque, non è più rinviabile. E di questo ne ha preso atto anche il governo. Nella delega fiscale firmata dal vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, in discussione in Parlamento, alla riforma dei giochi è destinato un intero articolo. Si parla di limiti alle giocate, di battaglia alla ludopatia e all’illegale. Ma il punto centrale della riforma riguarda i rapporti tra lo Stato centrale e gli enti locali. La domanda alla quale la riforma è chiamata a dare una risposta è sempre la stessa che ogni governo prova ad affrontare da anni: come si fa a garantire che il gioco pubblico e legale possa disporre di una rete di sale sul territorio? Una domanda dalla cui risposta deriva anche la possibilità di continuare ad assegnare concessioni per la raccolta dei giochi. Gare, nel caso delle sale scommesse, non se ne riescono a fare da oltre un decennio e si va di proroga in proroga. E anche nelle slot si rischia lo stesso copione.

L’UOVO DI COLOMBO

Per ora tutte le assegnazioni sono state congelate fino alla fine del prossimo anno, in attesa del “riordino”. La delega, insomma, è l’ultima occasione. Ma come si fa a convincere Regioni e Comuni ad accettare che sui loro territori ci sia un certo numero di punti-gioco? Il coniglio che il governo avrebbe intenzione di tirare fuori dal cappello è quello dei “soldi”. Il gettito erariale dei giochi, come detto, è di circa 10 miliardi di euro l’anno. Una fetta di queste risorse, è l’ipotesi sulla quale si sta ragionando, potrebbe essere lasciata ai territori. Oggi incassa tutto lo Stato. Regioni e Comuni hanno solo il “malus” di dover ospitare le sale nei loro territori, mentre il “bonus” del gettito fiscale va tutto allo Stato. Girare una fetta dei soldi agli enti locali, insomma, sarebbe una sorta di uovo di Colombo. Chi ospita le sale avrà a disposizione più risorse, chi decide che nel suo territorio punti-gioco non ce ne devono essere, avrà meno soldi a disposizione sul presupposto che non avendo sale ci sarà una forte riduzione dei costi sanitari per combattere le patologie legate al gioco. Funzionerà questa strategia? Difficile dirlo con certezza. Servirebbe un sostegno politico granitico. E non è detto che ci sia. Ma di alternative al momento se ne vedono poche. L’unica sarebbe quella di trasformare il settore, più di quanto non lo sia già oggi, in una foresta pietrificata, con concessioni prorogate di anno in anno sine die. Almeno fino a quando l’Unione europea non si accorgerà che in Italia c’è un altro caso “balneari”. Ma all’ennesima potenza per i valori in gioco.

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