Starace (Enel): «Entro un decennio l'Italia avrà il 60% di energia pulita»

Starace
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Domenica 8 Maggio 2016, 09:46 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 10:50

(a cura di Roberta Amoruso e Andrea Bassi)

Ingegner Francesco Starace, il referendum sulle trivelle ha riacceso il dibattito sulle fonti fossili. Una parte dell'opinione pubblica, ritiene che la transizione ad un sistema basato essenzialmente su fonti rinnovabili possa avvenire in tempi brevi. Quanto c'è di illusorio?
«Il mondo, Italia compresa, da anni investe sulle  rinnovabili la fetta più grande delle risorse a disposizione per la generazione di energia. Questo per due motivi. Il primo è che sono sempre più produttive ed efficienti e dunque rendono conveniente l'investimento. Il secondo è che il ritorno è più sicuro e veloce».

Può essere più esplicito?
«Per costruire un campo eolico o solare, ci vogliono uno o due anni. Nessuno fa barricate contro questo tipo di investimento. Se invece vuoi costruire un altro tipo di centrale sorgono mille problemi. Poter realizzare un investimento in un anno è un tempo imbattibile. Molti Paesi hanno colto la convenienza e hanno già imboccato questa strada».

In Italia c'è un problema in più, la devolution alle Regioni delle politiche sull'energia. A ottobre si voterà un referendum costituzionale che, tra l'altro, restituisce allo Stato centrale le competenze. È favorevole?
«Penso che una delle più grandi iatture della devolution alle Regioni sia stata quella in materia energetica. Non c'è nulla di più folle della frammentazione di un sistema energetico nelle sue sottoparti in termini di costi. Basta pensare ad un investitore che si deve orientare tra processi autorizzativi difformi nel giro di soli 100 chilometri. Penso sia stato un errore grave che ha favorito abusi. E c'è un analogo problema a livello europeo».

Cosa intende? È il solito problema dell'Europa unita soltanto sulla carta?
«Se oggi l'Europa armonizzasse i sistemi regolatori, autorizzativi e di dispacciamento, tutte le economie ne avrebbero un incredibile beneficio visto che l'infrastruttura è già interconnessa e capace di lavorare insieme. In Europa c'è dunque un grande lavoro da fare per eliminare le difformità e fare convergere i sistemi regolatori e di dispacciamento in un sistema unico».

Torniamo alle rinnovabili. Quanto ci vorrà perché sostituiscano gas e petrolio?
«Di qui al 2050 probabilmente le fonti fossili saranno sparite».

Come immagina la produzione di energia nel nostro Paese per quella data?
«So per certo che non ci sarà quasi più nulla di termico. Per il resto è difficile prevedere quale sarà il mix di rinnovabili che in quel tempo si sarà imposto».

Enel avrà sicuramente degli obiettivi. Quali sono?
«Bisogna fare una premessa. In Italia, come in gran parte d'Europa, abbiamo una sovrabbondanza produttiva dovuta a investimenti sbagliati del passato. Ci troviamo così ad affrontare una progressiva obsolescenza del parco di generazione. Per questo  abbiamo scelto di dismettere 23 centrali termoelettriche. Verranno totalmente smontate e diventeranno altro: musei, centri commerciali, centri sportivi».

Più nessuna verrà sostituita da nuovi impianti?
«Solo in piccola parte, perché come ho già detto in Italia di impianti ce ne sono già troppi. A un certo punto, però, ricominceranno a crescere le rinnovabili, mano a mano che altre centrali convenzionali chiuderanno: i tempi saranno dettati dalla conclusione del ciclo ventennale delle autorizzazioni. Inoltre, tra qualche anno la maggioranza dei campi eolici avrà superato i 12-15 anni di vita. A quel punto, semplicemente cambiando le macchine e grazie alle nuove tecnologie, potremo ottenere fino al 70% di energia prodotta in più sullo stesso campo eolico, senza la necessità di occupare altro suolo».

Con quale risultato?
«Che se oggi la produzione italiana da fonti rinnovabili è atorno al 44%, già nel 2030 arriveremo a sfiorare il 60%».

È già stabilito che al termine dei 20 anni di vita dei parchi eolici ci possa essere un rinnovo delle relative autorizzazioni?
«Per niente. Va fatto un intervento in questo senso, stabilito un nuovo orizzonte di altri 20 anni. In questo modo si dà agli investitori la necessaria chiarezza sul quadro e le concessioni. Ma questo quadro deve essere nazionale, valido ovunque».

Quindi che cosa vorreste chiedere al governo?
«La certezza di un orizzonte a lungo termine, con contratti a lungo termine e aste competitive. Non servono gli incentivi. Purché non ci sia la frammentazione regolatoria avuta finora».

Sembra di capire che all'Italia serva un nuovo piano strategico sull'energia.
«No, il piano c'è già e si chiama Strategia Energetica Nazionale. Fu l'ex ministro Passera a vararlo. Forse è un po' datato, ma basta riprenderlo in mano e fare le opportune modifiche. Tuttavia prima bisogna capire chi ha titolo per parlare, qualora si superino le frammentazioni».
 
Le rinnovabili fino ad oggi sono cresciute impetuosamente a suon di incentivi. In bolletta pesano ancora per 13 miliardi l'anno. Finiti gli incentivi quale sarà il modello per renderle sostenibili?
«Il modello c'è già, fuori dall'Europa, dove le rinnovabili crescono in maniera impetuosa senza incentivi. Solo nel 2015, in tutto il mondo sono stati investiti oltre 300 miliardi di dollari».

Cosa serve perché anche in Italia e in Europa gli investimenti ripartano?
«La prima condizione è  dare la possibilità di stipulare contratti di lungo termine. Oggi noi possiamo fare solo contratti al massimo di due anni dai quali è possibile recedere in ogni momento. In Messico, ad esempio, si fanno anche contratti a 15-20 anni. Solo così è possibile abbattere i costi. La seconda condizione è che venga introdotto un processo concorsuale competitivo per assegnare l'investimento».

È evidente, e si capisce anche dal vostro piano industriale, che la vostra crescita maggiore è all'estero: America Latina, Stati Uniti...
«Dobbiamo chiarirci. Crescita in cosa? Lo dico perché si tende a porre molta attenzione sulla generazione. Ma ciò è sbagliato. Il mondo sta andando in un'altra direzione, verso la distribuzione. Su questo c'è bisogno di un flusso importante di investimenti in Europa, perché bisogna digitalizzare le reti. Se non digitalizzi le reti limiti la penetrazione delle rinnovabili».

Dunque, crescerete nelle reti?
«L'intenzione nostra è di investire soprattutto in acquisizione di asset di rete nei paesi dove oggi il valore della distribuzione non è ancora pienamente compreso. Tutto il Sudamerica è un mondo dove le reti possono diventare una leva di creazione di valore importante».

Tocchiamo il tasto del lavoro. Come procede il piano di uscite e nuove assunzioni?
«Il piano di assunzioni di Enel in Italia, finalizzato a garantire un ricambio generazionale, prevede 3.000 nuovi posti nel periodo 2016-2020, di cui 1.000 nel 2016, e 6.000 cessazioni, di cui 1.900 nel 2016. Per i neo-assunti è generalmente previsto un contratto di apprendistato professionalizzante che, al termine del periodo di formazione, si può trasformare in un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In caso di persone con una pregressa esperienza lavorativa o in generale di età oltre i 29 anni, è prevista l'assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sempre a tutele crescenti.
Parliamo di prezzi, un argomento che interessa molto i consumatori. A gennaio è entrata in vigore una nuova politica tariffaria che ha reso uguali per tutti gli oneri di sistema e i costi di rete. Un sistema che rende più onerosa la bolletta per chi consuma di meno.
«Fino ad oggi esisteva un sussidio incrociato. Era un sistema antico, partiva dal presupposto che se hai un contatore di una potenza superiore sei ricco, con un contatore più piccolo sei povero. Così al ricco faccio pagare di più e al povero di meno. Però il risultato era che le famiglie numerose sussidiavano i consumi di un single benestante».

Intende dire che il nuovo sistema favorisce soprattutto le famiglie numerose?
«Diciamo che non le penalizza più. Ma in realtà la ragione di questo nuovo sistema tariffario è anche un'altra».

Quale?
«Se dobbiamo completare il percorso di liberalizzazione del mercato, non è possibile farlo con una fetta di quest'ultimo che è sussidiata».

Visto che l'argomento l'ha introdotto lei, parliamone. Nel 2018 circa 25 milioni di consumatori dovranno passare dal sistema di maggior tutela, quello con i prezzi calmierati, al mercato libero. Che secondo l'Authority dell'energia fino ad oggi non ha dato buona prova di sé, avendo tariffe più alte. C'è da preoccuparsi?

«Andiamo con ordine. Se si guarda al mercato elettrico in termini di numero di persone si ha una certa visione. Se si prende il mercato in termini di chilowattora se ne ha una opposta. Il mercato elettrico è di gran lunga stato liberalizzato. Dei circa 300 Terawattora consumati in Italia, solo 60 sono regolati nel mercato di maggior tutela. Se uno va a vedere le teste, sono invece tante».

Perché questi milioni di persone non sono ancora sul mercato libero?
«Hanno scelto di non scegliere».

E perché lo hanno fatto?
«Alcuni per inerzia. Altri per convenienza, che dipende da come è stato disegnato il mercato di maggior tutela».

Si spieghi meglio.
«Chi opera in questo mercato, opera al costo. È difficile competere con un signore che non deve guadagnare nulla».

Come si esce da questo paradosso?
«Ci sarà un percorso graduale, che si chiama tutela-simile. La tariffa regolata sarà resa un po' meno conveniente, poi alla fine chi ancora rimane sarà passato di forza al mercato libero».

Dunque le tariffe saliranno per i milioni di clienti che oggi sono nel mercato regolato?
«In realtà è già successo. O meglio, la tariffa è scesa meno di quanto avrebbe potuto scendere visto l'andamento della materia prima. Ma va anche detto che i margini su questi clienti sono molto bassi, quindi non c'è un accanimento competitivo».

Dunque trova corretto che i clienti tutelati vengano assegnati agli operatori con un meccanismo di asta?
«Corretto a due condizioni. La prima è che gli operatori siano in qualche modo certificati e filtrati attraverso la creazione di un albo. La seconda è che il cliente deve essere rispettato dandogli possibilità di scelta. Non si possono mettere su un vagone e dire tu stai con quell'operatore e tu con quell'altro. E soprattutto non devi essere obbligato a restarci per la vita. Le aste, se introdotte, vanno fatte con cadenza periodica, ad esempio ogni due anni».

Senta, quanto è contento di fare l'esattore del canone Rai?
«Zero. Non è un ruolo per me entusiasmante».

Però non abbiamo avuto l'impressione che voi abbiate fatto grande opposizione al piano del governo.
«Non potevamo dire “non lo vogliamo mettere in bolletta”, perché se prendete l'ultima pagina della bolletta elettrica e leggete quello che c'è dentro, trovate di tutto. Il canone tv è una delle cose più odiate, ma anche pagare lo smantellamento delle centrali nucleari credo non sia piacevole per nessuno».

Sarete pronti per luglio?
«Si può ancora fare».

Intende dire che non c'è ancora la certezza?
«Credo manchi ancora un passaggio formale. Il nostro ciclo di fatturazione è di due mesi. A luglio si riceveranno le bollette che noi prepariamo a maggio. C'è ancora qualche giorno di margine, credo che si possa riuscire».

La gestione sarà complessa?
«Molto, soprattutto i primi mesi. Già oggi il 5% delle telefonate che ricevono i nostri call center sono per il canone. Questo 5%, una volta che questo farà la sua comparsa sulla bolletta, potrà diventare il 50% o addirittura il 70%. Noi ci stiamo preparando molto seriamente».

Non teme che, caduto questo muro, altri possano svegliarsi, per esempio chiedendo di mettere in bolletta altre gabelle come la Tari?
«Non è possibile usare la bolletta a fini fiscali, già il canone della tv è un caso limite».

Ingegnere, Telecom Italia lunedì 9 presenterà un'offerta per Metroweb, in risposta alla sfida lanciata da Enel sulla banda larga. Che cosa farete se l'offerta Telecom avrà successo?
«Il nostro mestiere. Enel Open Fiber è nata per fare bene e in autonomia il suo lavoro, che potrà continuare a svolgere anche senza avere Metroweb. Una società, peraltro, che in questo momento è attiva in città dove non è presente Enel».

Però Metroweb potrebbe risultare strategica nelle aree a fallimento di mercato, dove i bandi di gara daranno un vantaggio agli operatori non integrati verticalmente. Se Telecom non riuscisse a prenderla, sarebbe più semplice per Enel vincere?
«Non sono questi i criteri che guidano la scelta di integrazione dei business: pensare che Enel possa essere interessata a Metroweb solo per trovare personale qualificato o che la società possa essere utile a Telecom per superare i limiti che derivano dall'essere un operatore verticalmente integrato, sarebbe contraddittorio e non terrebbe conto della relazione dimensionale tra le parti».

Lunedì 9 ci sarà un'informativa al cda di Enel su Metroweb. Anche voi siete pronti a fare la vostra offerta?
«Ci stiamo ancora lavorando. Ci vorrà un po' di tempo».

Il vostro obiettivo di cablare 224 città in tre anni è considerato ambizioso. Pensate di avere le competenze e le professionalità necessarie?
«Assumeremo tecnici e ricorreremo anche a società esterne, come del resto fanno già altri operatori, inclusa Metroweb. Sulla parte più sostanziosa, la posa dei cavi, francamente qualche cosa la sappiamo già fare. Stimiamo che per il piano dovremo utilizzare, tra risorse interne ed esterne, 4.500 nuovi lavoratori. Poi, a regime, saranno impiegate circa 300 persone nella fibra».

Che impatto avrà tutto ciò sui conti del gruppo?
«Qualche centinaio di milioni a livello di margine operativo lordo. È un modello che potremo esportare anche all'estero».

Enel da tempo ha anche un progetto sull'auto elettrica. A che punto è?
«Stiamo conducendo uno studio con il Politecnico di Milano per capire quante colonnine dobbiamo impiantare in Italia, e dove, per dare la certezza di poter viaggiare in tutta Italia, senza l'ansia di rimanere con l'auto scarica. A giugno avremo il risultato. Naturalmente il nostro primo obiettivo è costruire questa rete».

I produttori sono pronti?
«Abbiamo vari contatti con tutti i produttori, ma soprattutto con la giapponese Nissan, l'unica casa che ci permette di caricare ma anche di scaricare dall'auto energia, in modo da bilanciare la rete stessa.

Sono convinto che il biennio 2017-2018 sarà quello dell'auto elettrica. Non sarà più relegata al ruolo di city car, a breve le vedremo in autostrada come i veicoli tradizionali».

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