Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, aveva assicurato: «Non accetteremo soluzioni pasticciate». Il dubbio ora sembra lecito. «È un film già visto. Tra un passaggio parlamentare e l'altro, tra emendamenti appositamente vaghi e decreti attuativi imprecisi, alla fine si rischia che anche il reintegro per i licenziamenti economici in qualche modo rientrerà dalle finestre dei tribunali. E l'incertezza continuerà a regnare sovrana. Ci aspettavamo più coraggio» osserva una fonte.
ANTENNE DRITTE
Per dare una scossa positiva all'occupazione, per convincere gli imprenditori italiani ma anche quelli esteri a investire e assumere - ieri l'ennesima classifica che ci mette agli ultimi posti per attrattività - servono regole più semplici e un taglio alla burocrazia inutile. Basterà l'annunciata migliore «definizione dei confini» fatta sia da Renzi che da Poletti dei casi di reintegro (per discriminazione e per motivi disciplinari) a dare questa maggiore certezza? Mettere a punto una casistica esaustiva è difficile, resta sempre il rischio che qualcosa rimanga fuori. E sarà sempre preferibile il contratto a tempo determinato.
Per ora però sono solo “umori”. Nessuna valutazione ufficiale. Prima di esprimere un giudizio Confindustria vuole capire dove effettivamente si andrà a parare. E per questo servono i testi: dell'eventuale nuovo emendamento governativo ma anche dei decreti delegati. Ma le preoccupazioni non si limitano all'articolo 18. Antenne dritte anche per lo sfoltimento dei contratti: più che ridurre la flessibilità in entrata - è il ragionamento - sarebbe opportuno combattere gli abusi. E infine l'ipotesi di trasferire una parte del Tfr in busta paga: tutti sanno che le imprese utilizzano questi soldi per una maggiore disponibilità di liquidità.
Le piccole, alla sola idea, tremano. Ma anche quelle sopra i 50 dipendenti (dove già ora il Tfr o va ai fondi previdenziali o è gestito dall'Inps) sono perplesse: come si concilia questa ipotesi con la volontà di far crescere i fondi previdenziali? E poi: l'Inps gestisce un flusso annuale di quasi 6 miliardi di euro, toglierne anche la metà, significa creare “un buco” nei conti di 3 miliardi. Insomma, quello che preoccupa Confindustria è il pericolo di un percorso altalenante, il rischio che non si riesca a completare quella svolta in grado di far ritornare in pista il Paese.