Ora tocca al calcio. I bollettini che arrivano dalla Francia parlano di scontri tra tedeschi e ucraini sulla Grande Place di Lilla, di tafferugli a Nizza tra irlandesi e polacchi e, soprattutto, di una vera e propria guerra tra inglesi e russi a Marsiglia, con quaranta feriti di cui almeno quattro molto gravi.
Solo fenomeni marginali, lontanissimi dagli smottamenti della geopolitica? Può darsi. Eppure colpiscono alcune coincidenze. Difficile ad esempio non mettere in relazione la virulenza dei nuovi hooligan dell’est Europa con lo sviluppo, in quelle regioni, di regimi sempre più autoritari e intolleranti.
A Mosca, gli incidenti di Marsiglia sono stati condannati dal ministro per lo sport, ma elogiati da Igor Lebedev, uno dei capi della federazione calcistica, che è anche deputato e addirittura vicepresidente del parlamento russo. «In nove casi su dieci - ha dichiarato - i tifosi vanno alle partite per combattere, ed è normale. I tifosi hanno difeso l’onore della madrepatria e non hanno permesso agli inglesi di dissacrarlo».
Gli altri gruppi di hooligan più temuti dalle forze dell’ordine arrivano da paesi - l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia - che hanno assistito negli ultimi anni ad una radicalizzazione sempre più netta dei governi e delle popolazioni, schiacciati su posizioni di chiusura nazionalista che fanno riaffiorare i peggiori fantasmi del secolo scorso.
Intanto, in Gran Bretagna, c’è chi attribuisce il revival degli hooligan inglesi agli animal spirits scatenati dal dibattito su Brexit. Oltre Manica, i giornali e le televisioni rigurgitano da mesi di argomenti contro l’Europa che toccano vette di xenofobia che non si sentivano dal dopoguerra. Se il sofisticato leader del No all’Europa, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, può definire Obama un keniota e paragonare l’Unione Europea al Terzo Reich, non si capisce perché i birrosi sostenitori della nazionale non dovrebbero sentirsi autorizzati a ripetere concetti più o meno simili per le strade di Marsiglia.
Più in generale, gli scontri tra tifoserie sono lo specchio di un continente diviso e incattivito, nel quale, per un azzardo impossibile da prevedere, le partite che si giocano negli stadi coincidono con almeno due partite decisive che si giocheranno nelle urne la prossima settimana: il referendum su Brexit, appunto, e le elezioni spagnole che dovrebbero (in teoria) sbloccare una situazione paralizzata da mesi.
Nel mezzo di tutto questo, la Francia, in passato uno dei principali motori dell’integrazione europea, si presenta come un ospite imbarazzato e passivo. Concentrata sull’obiettivo di evitare attacchi dall’Isis, fatica a tenere a bada gli hooligan europei che si scontrano nelle sue città. Impegnata a contenere gli scioperi che rischiano in ogni momento di mandare in tilt l’organizzazione del torneo, coltiva l’unico obiettivo di cavarsela senza troppi danni, nel calcio così come in Europa.
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