Un percorso lento quello dell’Italia e delle donne in diplomazia.
C’è voluta una decisione della Corte costituzionale nel Sessanta per poterne ammettere la presenza nel feudo totalmente maschile. Tutto questo mentre nel resto del mondo si andava avanti molto più rapidamente. Al Brasile la palma del Paese che, per primo, ha nominato ambasciatrice una donna. Era il 1918 quando Maria José Rebello Mendes, a soli 27 anni, ha vinto il concorso per entrare al ministero degli Affari esteri, superando otto uomini.
I TABÙ ABBATTUTI
Si è dovuto aspettare il 2003, in Europa, per vedere seduta al tavolo della Nato - una delle ultime roccaforti maschili - la diplomatica lituana, Ginte Damušis. Subito dopo è toccato all’Italia che, pur ammettendo le donne alla Farnesina dal 1964, ha visto le prime due ambasciatrici di grado nominate nel 2005: dopo lunga carriera nel corpo diplomatico sono state promosse al grado più alto Jolanda Brunetti e Graziella Simbolotti. Per, poi, arrivare al 2014 con un altro tabù abbattuto: la nomina di Mariangela Zappia a rappresentante dell’Italia nella sede di New York delle Nazioni Unite, oggi ambasciatrice a Washington. Nel Medio Oriente meno oscuro non è mancata qualche pioniera: l’iraniana, Mehrangiz Dolatshahi, che venne inviata come ambasciatrice dello Scià Reza Pahlavi, in Danimarca nel 1975. Ci sono voluti altri quarant’anni prima che, nel 2015, il regime degli ayatollah scegliesse una seconda donna, Marzieh Afkham, per rappresentare l’Iran all’estero. Nel caso specifico, in Malesia. Dal febbraio 2019 anche l’Arabia Saudita ha un’ambasciatrice: la principessa Reema bint Bandar al Saud, militante per i diritti delle donne, destinata a Washington.
GLI OSTACOLI
Non molto tempo fa, durante un incontro per celebrare la sua carriera, Jolanda Brunetti ha parlato della non facile rottura di una tradizione che vedeva i ruoli diplomatici ad appannaggio esclusivo degli uomini e del superamento graduale di questa situazione nel nostro Paese e a livello internazionale.
LA SVOLTA
Per avere una svolta bisognerà aspettare il 2000, con l’approvazione all’unanimità della risoluzione dell’Onu numero 1325, che ha istituito l’agenda “Donne, pace e sicurezza”, dove il ruolo femminile viene enfatizzato, non solo come vittime dei conflitti, ma come «protagoniste nei processi di pacificazione». Vengono evidenziate le loro capacità di mediazione e negoziato. In Italia la percentuale di donne in carriera diplomatica è stabile da qualche anno intorno al 31%. La rete diplomatico-consolare nel 2020 era di 303 uffici all’estero, di cui 129 ambasciate, 8 rappresentanze permanenti presso organismi internazionali, 81 uffici consolari e 1 delegazione diplomatica speciale. Il dato emerge dall’annuario statistico del ministero degli Affari esteri (Maeci). Sotto il profilo di genere, invece, è rimasta stabile al 46% la percentuale femminile di personale di ruolo al servizio Maeci. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il segretario generale Ettore Sequi hanno impresso un’accelerata alla parità di genere. Con una circolare firmata il 15 ottobre scorso vengono definiti i metodi di lavoro e il benessere organizzativo. «Queste circolari riflettono l’idea della Farnesina dei diritti e delle pari opportunità - ha sottolineato Sequi -. La modernizzazione deve passare per una rivoluzione culturale, sono stati fatti grandi passi avanti ma non bastano, ne servono altri».
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