Elena Pettinelli: «Marte è un sasso polveroso ma forse la vita è arrivata anche lì»

Elena Pettinelli: «Marte è un sasso polveroso ma forse la vita è arrivata anche lì»
di Simona Antonucci
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Giovedì 1 Ottobre 2020, 06:26 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 07:54

L'INTERVISTA

«Siamo sinceri, Marte è un postaccio, un sasso polveroso. Nulla a che vedere con la Terra che invece sì, è una meraviglia. E non dimentichiamolo mai». Parola di Marziana, Elena Pettinelli, 59 anni, toscana, ma da sempre romana, che dall'Università Roma Tre ha lanciato nello spazio una scoperta mondiale: una rete di laghi salati sotto i ghiacci del polo Sud di Marte che potrebbe aiutare a riscrivere la storia del clima sul pianeta e a far luce sull'eventuale esistenza di forme di vita elementare. La ricerca che promette di rivoluzionare le conoscenze sul pianeta è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy da alcuni degli stessi autori che nel 2018 avevano scoperto un lago nella stessa area. A coordinare la squadra Elena Pettinelli e il ricercatore Sebastian Emanuel Lauro («sembra incredibile ma è un precario») dell'Università di Roma Tre, con Roberto Orosei, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna, i colleghi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli e italiani che lavorano in Australia e Germania.

Accanto alla professoressa Pettinelli, eccellenza made in Roma (Laurea e dottorato in Geofisica alla Sapienza), Sebastian Lauro, romano, la dottoressa Barbara Cosciotti, romana, e la professoressa Elisabetta Mattei, di Cerveteri, che nel laboratorio in via della Vasca Navale 84 hanno fatto «un'ecografia al ghiaccio polare» nella pancia di Marte e riscritto la storia.

Un'ecografia?
«Più o meno. Ma mentre le ecografie al feto si fanno con gli ultrasuoni, qui vengono utilizzate onde elettromagnetiche, simili a quelle emesse degli smartphone. Tutto questo è possibile grazie al radar Marsis, fornito dall'Agenzia Spaziale Italiana alla missione Mars Express dell'Agenzia Spaziale Europea».

Una scoperta sensazionale. Lo spieghi.
«I laghi potrebbero conservare ancora oggi le tracce di eventuali forme di vita. Marte potrebbe aver goduto di un'atmosfera densa, un clima più mite e la presenza di acqua in superficie, un po' come la Terra dei primordi. Si potrebbe immaginare che la vita ci abbia provato anche da un'altra parte. Non solo da noi».
Questo studio è la conferma della pubblicazione del 2018 che creò anche qualche diffidenza. Perché?
«Diciamo pure che suscitò un vespaio. Il problema è la competizione. I dati del radar Marsis arrivano anche agli americani. Solo che noi abbiamo interpretato le immagini. Loro no. E quindi con il dottor Orosei dell'Inaf abbiamo deciso di continuare per conto nostro».

Voi che cosa avete visto?
«Una riflessione molto brillante. E quindi ci siamo chiusi in laboratorio e abbiamo cercato di acquisire molti altri dati».

Marte sarà pure un postaccio, ma lei gli ha dedicato la vita.
«Ho fatto di tutto. Dopo la laurea e il dottorato ero una disoccupata che viveva di borse di studio. È stata l'Agenzia Spaziale a intercettarmi. Cercavano qualcuno con il mio profilo cui affidare un grande progetto. Allora sono andata dal professore Bella con cui mi ero laureata, che dalla Sapienza si era trasferito a Roma Tre, e gli ho detto: ho 200 mila euro, ma non sono nessuno, che facciamo? Ho avuto un assegno di ricerca e poi sono diventata ricercatrice. Quando ho cominciato a occuparmi di Marte ero precaria anche io».

Con i fondi ha messo su il laboratorio: che cosa si compra per studiare Marte?
«Uno shopping entusiasmante, con il meglio dal mondo. Un oscilloscopio, per esempio, e una camera climatica dove riformiamo i ghiacci dei pianeti. E poi ho creato la squadra, senza andare troppo lontano. I fisici italiani sono i più bravi. Noi li formiamo e poi ce li portano via. Ma in particolare la scuola di Roma è eccezionale. Peccato che non gli offriamo la possibilità di restare qui. Con un grande spreco per lo Stato».

Tanti geni in fuga. Lei è rimasta. Perché?
«Io non sono un genio. Ma una persona testarda. Ho sempre creduto in quello che facevo, a Roma. Mio marito, ricercatore canadese, mi ha seguito qui. Uno dei rari uomini che si sono sacrificati per la moglie. E insieme, quando eravamo giovani e precari, ci siamo sacrificati rinunciando ad avere figli. Ma non ho ripensamenti. E poi ho tanti figli fisici».

Lo guarda il cielo?
«Abito in campagna.

E fuori dalle città è un'altra cosa. Soprattutto d'inverno è stupendo. Tutti dovremmo levare gli occhi al cielo per tornare sulla Terra diversi. Meno onnipotenti».

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