Spaccio all'ingrosso e vendita al dettaglio. Si chiude con cinque condanne il processo - con rito abbreviato, sconto di un terzo della pena - agli albanesi finiti al centro dell'operazione Underground. Il gip del Tribunale di Roma, Francesca Ciranna, ha inflitto 6 anni e 6 mesi a Renato Hasa; 4 anni e 4 mesi a Julian Tare; 5 anni e 4 mesi a Bledar Shtembari; 10 mesi a Stefania Pegu e Stefano Petti, non considerati organici alla banda ma semplici corrieri. Assolto Domenico Pennacchietti, 40enne di Vitorchiano, in misura cautelare al termine delle indagini.
«Le limitate dimensioni della zona e della piazza di Viterbo - spiega la giudice nella sentenza - hanno consentito un effettivo controllo del mercato della spaccio, con un'attività di cessione anche al dettaglio svolta quotidianamente e in maniera tale da consentire la disponibilità di droga per fare fronte alla richiesta del mercato al minuto. Significativi i sequestri effettuati dai carabinieri durante le indagini avevano una clientela stabile e acquisita. È emersa l'esistenza di una struttura stabile, delineata da precise linee gerarchiche».
In totale furono 23 le persone indagate nell'operazione Underground. Molti di loro hanno già chiuso i conti con la giustizia. Dalle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo il gruppo di albanesi, in maniera organizzata, importavano cocaina dal Belgio e poi, attraverso una rete di pusher, la immettevano sul mercato di Viterbo e di altri centri della Tuscia, come Canepina e Vignanello.
A far scattare l'operazione fu la denuncia di un cittadino macedone che, a settembre 2015, disperato e assai impaurito, si rivolse ai carabinieri.
L'attività di occultamento e preparazione della droga era particolarmente sofisticata. Lo stupefacente giunto a Viterbo veniva tagliato, suddiviso in dosi e posto in barattoli di vetro con riso per preservarlo dall'umidità. I contenitori, quindi, venivano interrati in zone di campagna. I carabinieri hanno potuto costatare la purezza della cocaina. Ne hanno prelevato alcuni barattoli sostituendo la droga con farina, ottenendo due risultati: accertare che lo stupefacente era puro al 90%; seminare sospetti tra gli indagati, che per mesi hanno continuato a chiedersi dove fosse finita la droga.