«Giuseppe Trovato era la mente del gruppo e diceva che voleva controllare il territorio, voleva che le persone del Viterbese si rivolgessero al gruppo per qualsiasi cosa, voleva imporre rispetto e onore».
Il piano del sodalizio criminale stroncato dai carabinieri del nucleo investigativo è tutto nelle parole di Sokol Dervishi. L’albanese pentito che in diversi interrogatori ha svelato i segreti, i retroscena e l’organigramma dell’associazione a delinquere di stampo mafioso.
«È vero, sono stato la persona di fiducia a cui si è rivolto Trovato per gli attentati contro i concorrenti esercenti attività di compro oro. Tra i due capi - ha spiegato Dervishi - c’era un accordo». Accordo che prevedeva un mutuo aiuto. «Trovato - ha affermato l’albanese noto come Codino - aiutava Rebeshi a controllare il mercato della droga a Viterbo e Rebeshi, con i suoi uomini, a sua volta aiutava Trovato a incendiare i negozi e le auto dei concorrenti e a controllare il mercato».
In virtù dell’accordo il sodalizio in due anni di attività ha messo a segno nel capoluogo oltre 50 attentati incendiari, estorsioni e diversi pestaggi a scopo intimidatorio.
Codino durante il primo interrogatorio, in cui afferma più volte di voler collaborare con la giustizia, ripercorre tutti gli episodi contestati a cui ha partecipato da quello a Piero Camilli, a quello degli Ubertini. Snocciola particolari e fornisce versioni perfettamente coerenti con le ricostruzioni degli inquirenti. Non dimentica nulla, nemmeno la droga vero pallino del capo Ismail Rebeshi.
'Ndrangheta viterbese, il pentito spiega il patto per spartirsi la città
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Sabato 28 Dicembre 2019, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 14:12
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