'Ndrangheta viterbese, il pentito spiega il patto per spartirsi la città

Carabinieri
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Sabato 28 Dicembre 2019, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 14:12

«Giuseppe Trovato era la mente del gruppo e diceva che voleva controllare il territorio, voleva che le persone del Viterbese si rivolgessero al gruppo per qualsiasi cosa, voleva imporre rispetto e onore».

Il piano del sodalizio criminale stroncato dai carabinieri del nucleo investigativo è tutto nelle parole di Sokol Dervishi. L’albanese pentito che in diversi interrogatori ha svelato i segreti, i retroscena e l’organigramma dell’associazione a delinquere di stampo mafioso.

«È vero, sono stato la persona di fiducia a cui si è rivolto Trovato per gli attentati contro i concorrenti esercenti attività di compro oro. Tra i due capi - ha spiegato Dervishi - c’era un accordo». Accordo che prevedeva un mutuo aiuto.  «Trovato - ha affermato l’albanese noto come Codino -  aiutava Rebeshi a controllare il mercato della droga a Viterbo e Rebeshi, con i suoi uomini, a sua volta aiutava Trovato a incendiare i negozi e le auto dei concorrenti e a controllare il mercato».

In virtù dell’accordo il sodalizio in due anni di attività ha messo a segno nel capoluogo oltre 50 attentati incendiari, estorsioni e diversi pestaggi a scopo intimidatorio. 

Codino durante il primo interrogatorio, in cui afferma più volte di voler collaborare con la giustizia, ripercorre tutti gli episodi contestati a cui ha partecipato da quello a Piero Camilli, a quello degli Ubertini. Snocciola particolari e fornisce versioni perfettamente coerenti con le ricostruzioni degli inquirenti. Non dimentica nulla, nemmeno la droga vero pallino del capo Ismail Rebeshi.

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