Mafia viterbese, la sindaca Frontini dopo la Cassazione: «Grazie magistratura, segnale forte per la città»

Chiara Frontini
di Maria Letizia Riganelli
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Giovedì 2 Febbraio 2023, 03:30 - Ultimo aggiornamento: 15:04

Era mafia quando venivano incendiate le vetrine dei compro-oro. Quando venivano lasciate teste di agnello davanti ai portoni. E quando politici ricevevano proiettili in busta. Era mafia quando saltava la macchina di direttori di istituto di credito o quelli di imprenditori locali che davano “fastidio” agli affari dei boss. Era mafia anche quando gli scagnozzi del capo andavano a chiedere soldi per aver risolto piccole controversie tra cittadini.

Mafia a Viterbo, definitive le condanne per Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato

La Cassazione martedì sera ha reso definitive le condanne per Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato e per gli altri 6 gregari. Ma ha anche certificato la presenza di un’associazione mafiosa con una capacità offensiva importante. Che in due anni ha collezionati 45 attentati e aggressioni. E sono solo 45 perché i carabinieri con un’indagine articolata e complessa sono riusciti a disarticolarla. Prima della Cassazione, a spiegare quanto questo territorio fosse ormai preda facile di sodalizi criminali è stata la Dia, Direzione investigativa antimafia, che nell’ultimo rapporto aveva specificato come in poco tempo il capoluogo della Tuscia, da “tranquilla provincia laziale”, fosse diventato «non più immune all’infiltrazione della criminalità organizzata che è alla continua ricerca di nuovi spazi non solo per le tipiche attività criminali ma anche per iniziative imprenditoriali apparentemente legali».


Quando all’alba del 25 gennaio 2019 scattarono le manette per i membri della banda mafiosa la città reagì spaccandosi.

Quell’iniziale accusa era un fulmine a ciel sereno. E quella parola “mafia” troppo pesante per essere vera. Nonostante l’iniziale scetticismo, però, associazioni di categoria e sindacati, ma anche molti consiglieri riuscirono a organizzare un consiglio straordinario per parlare dei fatti e una fiaccolata.

Ieri la sindaca Chiara Frontini (il Comune era parte civile al processo) ha voluto ricordare quei giorni. «Ricordo come fosse ieri la fiaccolata in cui tutta la città lanciò il suo grido fortissimo contro la mafia e ogni forma di violenza. La giustizia ha fatto il suo corso, e che sia di riflessione per ogni singolo cittadino della nostra comunità, affinché si formino gli anticorpi per ribellarci sempre ad ogni ricatto o intimidazione. Negare alla mafia il consenso, come diceva Borsellino, è l’antidoto migliore. Siamo molto fiduciosi nella giustizia che ha fatto e sta facendo il suo corso e grati per aver dato un segnale forte per Viterbo e tutti i cittadini».

Poche, in realtà, le voci che ieri in città hanno voluto commentare la storica sentenza. Fatta eccezione per il segretario provinciale di Azione, Giacomo Barelli. «La mafia c’è… anche a Viterbo, ma alla politica sembra non importare. Il riconoscimento, passato in giudicato, dell’aggravante mafiosa, ha un significato ancora più importante in una città ed in una provincia come la nostra, dove la politica sembra non interessarsi al fenomeno. Dai “quattro delinquentelli” come li definì qualcuno nella precedente legislatura all’assordante silenzio della politica attuale, la questione delle infiltrazioni mafiose nel nostro territorio non trova spazio nemmeno in campagna elettorale».
 

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