Ho firmato l’esposto contro l’assegnazione dei terreni e poco dopo mi sono trovato con la rimessa agricola in cenere e 29 piante di ulivo tagliate a metà». Riprende con la testimonianza dell’ex vicesindaco di Farnese Massimo Cattaneo, il processo alla famiglia Pira, il padre Antonio e figli Marco e Paolo, accusati di atti persecutori, furti aggravati, abigeato, detenzione e porto abusivo di armi clandestine, nonché uccisione di animali.
Parte civile nel processo l’ex sindaco Dario Pomarè che a febbraio del 2015 vide tutta la sua campagna incendiata, 160 ulivi distrutti e casi e galline uccise. A far scattare gli atti intimidatori nei confronti dei Pomarè sarebbe stato un esposto presentato da 40 firmatari per la regolamentazione dei terreni a uso civico di Farnese. Un provvedimento che avrebbe costretto i Pira a perdere circa 60 ettari di fondi agricoli a uso pascolo, di cui si erano appropriati nel tempo.
I Pira, difesi nel procedimento dagli avvocati Giuseppe Picchiarelli e Angelo Di Silvio, secondo l’accusa avrebbero voluto vendicarsi di tutti e 40 i firmatari. «Quando c’è stato il mio incendio pochi giorni prima c’erano state le elezioni.
Secondo l’accusa e la parte civile i Pira avrebbero agito per vendicarsi. Di avviso diverso la difesa che fin dal principio sostenere che il processo è solamente indiziario e che non ci sono prove concrete della colpevolezza della famiglia Pira. Ieri pomeriggio, davanti alla giudice Daniela Rispoli, ha testimoniato anche l’ortopedico (testimone della difesa) che a dicembre 2014 operò al ginocchio sinistro uno degli imputati. «Gli prescrissi molti giorni di riposo e inizialmente deambulava solo con due stampelle». Motivo per cui, secondo la difesa, non potrebbe aver preso parte ai raid vandalici.
Si torna in aula il 21 giugno per la discussione.
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