Ceramica Catalano, i soci dicono no
ai licenziamenti: «Questa azienda è sana»

L'assemblea permanente nella fabbrica
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Martedì 1 Ottobre 2013, 12:39 - Ultimo aggiornamento: 12:40
Vertenza ceramica Catalano: per i soci di minoranza della maggiore azienda del distretto non c'è la necessità di licenziare i dipendenti. Per questo motivo si sono schierati al fianco degli operai e sindacati nel tentativo di scongiurare gli ottanta (nel frattempo scesi a sessanta) tagli chiesti dell'azienda. Sostenendo che «l'impresa è sana e quindi mandare a casa il personale ritenuto in esubero non è cosi necessario».



La loro è una presa di posizione netta che non lascia trasparire tentennamenti, destinata a fare rumore a Civita Castellana e che costringe tutti i soggetti interessati a giocare a carte scoperte. Della loro contrarietà al progetto e del perché hanno messo al corrente, nei giorni scorsi, l'assessore al Lavoro della Regione, Lucia Valente, che il 3 ottobre incontrerà i rappresentanti dell'impresa di via Falerina e le parti sociali per trovare un accordo dopo che sono saltati tutti i tavoli di concertazione locali.



«La Catalano è una società sana - ha sottolineato Tamara Micheli alla Valente senza tanti giri di parole, a nome anche di altri soci - che per investimenti sbagliati scarica i lavoratori e il loro costo sulle spalle delle istituzioni, prendendo la crisi nazionale come scusa. Per questo dissentiamo da quanto sta mettendo in pratica l'attuale consiglio di amministrazione».

Micheli ha raccontato alla titolare dell'assessorato regionale la storia di una delle più grandi aziende ceramiche del distretto industriale del Viterbese, dei sacrifici dei soci operai, che rinunciavano allo stipendio per pagare le maestranze, e che ha permesso all’impresa di primeggiare nel settore della ceramica. La portavoce dei soci contrari alle liste della mobilità ha fatto anche parte del cda nei mesi scorsi prima di finire in minoranza.



«Da qualche anno a questa parte la direzione della Catalano ha preferito il facile guadagno - ha detto all’assessore Valente - a discapito della qualità dei prodotti e del benessere degli operai. Una politica strana ha cominciato a imporsi, come per esempio la richiesta di cassa integrazione con i conti più che buoni. Perché la società ha continuato a dare dividendi senza problemi e i conti non sono stati mai in rosso, tutt'altro. A tutto questo si è aggiunta l'importazione dalla Turchia di manufatti, si è fatto ricorso ai lavoratori interinali e non è mancata l'idea di esternalizzare molte fasi della lavorazione».



Non solo proteste, ma anche proposte: «Forse sarebbe stato meglio investire sul personale o a riqualificarlo con nuove mansioni - ha concluso Tamara Micheli - anziché proporre di licenziarlo».
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