Codogno, l'insegnante: «Nel mio diario i 60 giorni dell'epidemia»

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L’avevamo incontrata a pochi giorni dall’istituzione della zona rossa di Codogno: era la fine di febbraio, l’emergenza Coronavirus pareva ancora limitata ad alcune ristrette aree del Paese e nessuno si immaginava quanto sarebbe poi accaduto nel giro di poche settimane. Rossana Rebasti, giovane insegnante della cittadina del Lodigiano, torna a raccontare la sua esperienza a due mesi dall’inizio del lockdown.

«Ricordo come se fosse ieri quel 22 febbraio. Credevamo di restare in casa al massimo tre settimane, mai avrei immaginato che sarebbe durata per sessanta giorni», confessa Rossana, che aggiunge: «I primi momenti sono stati i più difficili: pensavo di non riuscire a resistere, provavo un continuo saliscendi di emozioni, anche perché ero passata nell’arco di un giorno dalla mia vita di sempre a un blocco improvviso. Con il passare del tempo, ho avuto modo di digerire, di comprendere come abituarmi a questa situazione».

Un’esperienza, quella dello stare a casa, che tutti gli italiani hanno avuto poi modo di conoscere: «C’è un susseguirsi di emozioni quotidiano. Si passa da momenti di estrema gioia e positività, in cui ci diciamo che tutto andrà bene, in cui si guarda al futuro con una certa progettualità, a momenti di grande sconforto e disperazione che arrivano dalle notizie, dall’economia, dalle vicende personali. Io ho molti conoscenti che hanno perso familiari e amici: in quegli attimi paura e tristezza hanno il sopravvento», racconta ancora la ragazza di Codogno, che rivela il suo metodo per affrontare questi tempi difficili: «tengo un diario in cui annoto due, tre cose positive che mi sono accadute durante la giornata. A volte è davvero difficile trovarle, ma mi sforzo a individuare sempre qualcosa».

Come il poter tornare a lavorare, seppure attraverso le tecnologie: «Le mie giornate sono cambiate molto in positivo da quando ho finalmente ricominciato a fare lezione. Dopo i primi giorni in cui era necessario capire come organizzare la didattica, ora insegno quotidianamente, il che mi regala un senso di normalità e mi permette di dimenticare, in parte, questa surreale situazione di emergenza, – spiega Rossana. - Stiamo facendo scuola, vero, però la scuola non è solo trasmettere conoscenze, è stare insieme, chiacchierare, sfogarsi, fare esperienze nel pomeriggio. Tutto questo manca tantissimo ai miei ragazzi e anche ai noi docenti. Ora più che mai tutti non vedono l’ora di tornare a scuola: fino a febbraio forse davamo per scontato la magia della scuola, ora ne capiamo tutti l’importanza».

Vivere per primi l’esperienza di quella che sarebbe stata la pandemia non è stato semplice, non solo per la fisica impossibilità di non poter abbandonare le proprie abitazioni. «Emotivamente non è stato facile essere gli unici in questa situazione. Sentirci i malcapitati non era per nulla piacevole, anche perché la vita fuori continuava in maniera semi regolare, - fa sapere l’insegnante. - Quando c’è stata l’estensione del lockdown, è cambiata la percezione: non eravamo più noi gli untori. Ricordo ancora quella mattina in cui tutte le radio hanno trasmesso l’inno nazionale e alcune canzoni che rappresentano la nostra nazione: ho pianto tantissimo, ho provato una commozione davvero forte perché mi sentivo veramente parte di un’unità. Poter combattere qualcosa di così grande tutti insieme ha dato a noi di Codogno una spinta, ci ha scaldato il cuore».

Da quel 21 febbraio, giorno del primo caso accertato di coronavirus, Codogno è sicuramente cambiata: «Prima eravamo una cittadina che non conosceva nessuno, non eravamo così orgogliosi, eravamo solo abitanti. Considerando il modo in cui è stata affrontata questa emergenza, ringrazio il nostro sindaco Francesco Passerini e faccio un plauso ai miei concittadini per il rispetto, la responsabilità civile, l’educazione con cui è stata presa alla lettera la prima ordinanza: sono fiera far parte di questa comunità», afferma sempre la ragazza, che se da un lato teme che il paese possa essere etichettato come la cittadina “del paziente 1”, dall’altro è «fiduciosa. Spero che saremo ricordati proprio per le nostre buone azioni, per aver dimostrato di essere dei cittadini molto civili e rispettosi». Con il sorriso che la contraddistingue, l’insegnante di Codogno guarda al futuro con speranza e serenità: «Quando ci sarà una riapertura, secondo me ne usciremo rafforzati dal punto di vista emotivo. Stiamo imparando a gestire dolori e disgrazie facendo leva su potenzialità, su quella resilienza che avevamo e che ci porteremo in futuro come bagaglio. Io cerco di pensare che il futuro ci deve riservare ancora cose belle: quest’anno è stato molto difficile, per questo ne emergeremo più forti, più consapevoli e con una grande ricchezza».

di Caterina Carpanè