Nelle case degli scrittori, da Bologna a Recanati

Casa Carducci, foto di Riccardo Vlahov
di Mariapia Bruno
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Sabato 11 Giugno 2016, 09:20

Se siete stanchi dei soliti weekend al mare o in montagna e volete vedere qualcosa di nuovo senza togliere tempo ad un bel libro e ad un bicchiere di vino, niente di meglio di una visita nelle case di alcuni scrittori che hanno lasciato un segno nella letteratura.

 

Partiamo da Bologna, città in cui Carducci e la moglie Elvira abitarono a lungo. Lo scalone in marmo, i tendaggi pesanti, l’odore del legno degli arredi e il profumo dei vecchi libri: è quanto ci si aspetta di trovare in una casa borghese del pieno Ottocento. Ma la visita prende tutt’altro sapore nel momento in cui si scopre che in quegli spazi ha vissuto, amato e pensato l’istitutore dell’Italia unita, il professore e poeta Giosuè Carducci (1835-1907).

Siamo in Piazza Carducci, fra porta Maggiore e porta di Santo Stefano, vicino all’università dove il poeta insegnò Lettere per quarantaquattro anni, lasciandosi alle spalle la maremma pisana d’infanzia, la Firenze della giovinezza e gli amici di Castagneto con cui, però, si sarebbe sempre frequentato per godere insieme delle amate ribotte: le spropositate mangiate che iniziavano al mattino e finivano alla sera tra versi di poesia e barili di Vernaccia. Passeggiando tra le stanze di questa dimora sembra che il tempo si sia fermato, è come se da un momento all’altro la signora Elvira potesse accoglierci all’ingresso e farci accomodare nel salottino rosso, mentre l’autore di San Martino è intento ad ordinare per autore, argomento o cronologia la sua collezione di libri.

Varcando la soglia della biblioteca, oltre a codici e autografi di grandi nomi europei dell’Ottocento, ci si accorge che lo spirito di Carducci è ancora presente. L’autore con il mito dell’Italia unita nel cuore e spesso critico nei confronti di una monarchia disinteressata ai problemi della società italiana deve molto a Margherita di Savoia: è grazie a lei che oggi possiamo girovagare tra le sue stanze. La regina comprò nel 1902 l’intera biblioteca di Giosuè, malato e bisognoso di soldi, e nel 1906 l’intero palazzo. Pochi giorni dopo la sua dolorosa dipartita, il 22 febbraio la sovrana donò la casa alla città di Bologna che si impegnò a conservarla così come il poeta l’aveva lasciata.

A Recanati si respira tutt’altra aria. Quando la donzelletta veniva dalla campagna e il passero solitario cantava tutto il giorno, Giacomo Leopardi (1798 - 1837) era solo un giovane di non troppe belle speranze che amava passare le sue giornate chino sui libri con una postura scorretta. Ma a conti fatti ha dato alla storia della letteratura italiana più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. La sua sensibilità, il suo voler stare dietro le quinte, il suo essere un sognatore-pensatore, sono gli ingredienti principali che lo hanno fatto diventare il maggiore poeta dell’ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale.

La sua finestra è ancora lì, nell’attuale via Leopardi, dove sorge il severo palazzo ancora occupato dai discendenti della sua nobile famiglia. L’unico spazio che si può visitare è la biblioteca. Certo, sarebbe interessante sbirciare tra le stanze degli studiosi fratelli Leopardi, aprire armadi e cassettiere e farsi raccontare dai discendenti cosa si prova ad avere per antenato un pessimista cosmico. Ma dopo una rapida visita alle cantine della dimora leopardiana, per capire a fondo la personalità del genio, occorre andare nei luoghi che a lui furono cari, come l'ermo colle dell’Infinito: Giacomo vi accedeva direttamente dal giardino, passando attraverso l’orto del convento di Santo Stefano. Si possono fare due passi nella piazza del Sabato del Villaggio, dove davano le finestre di Silvia, suo amore ideale e sfortunato. Una volta lasciatosi alle spalle la sua Recanati, Leopardi soggiornò dallo zio Carlo in una Roma da lui definita “squallida e modesta”.

Da lì si spostò a Milano, poi a Bologna e a Firenze, dove conobbe Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni. Ma fu con la città di Napoli che ebbe un rapporto particolare: qui si lasciò andare al suo “letale vezzo” del mangiare. Oltre a ingozzarsi quotidianamente di dolci e gelati, granite di limone e cioccolato, Leopardi amava rimpinzarsi di tortellini di magro, tagliolini, capellini al burro, gnocchi di latte, frittelle di mele e pere, ravioli al sugo di pomodoro. I luoghi del peccato erano vicini alla sua abitazione sotto il Colle di Sant’Elmo: scendendo verso le vie centrali della città il poeta era solito fermarsi alla pasticceria Pintauro, in Santa Brigida, dove gustava leccornie tipiche come le sfogliatelle, le frolle, i mandorlati e i canditi, le cassate e le paste di riso. Molti versi e moltissimi caffè scandirono la sua permanenza nella città campana, dove si spense, malato di idropisia polmonare, bisbigliando "Addio, Totonno, non veggo più luce”. E’ sepolto a Piedigrotta, al Parco Vergiliano, nello stesso luogo che ha custodito per secoli le spoglie del grande poeta Virgilio.

Nel cuore di Rovereto, in via Stoppani 1, c’è una grande casa nobiliare: qui vi nacque nel 1797 Antonio Rosmini, filosofo e teologo dell’Ottocento, uomo purissimo ed attratto dal sacro, che fece un grande salto dall’Indice dei libri proibiti (per “colpa” Delle cinque piaghe della santa Chiesa e de La costituzione secondo la la giustizia sociale) al mondo dei beati. Se ci si trova a passare da quella via, è assolutamente consigliato suonare il citofono. Ad aprire arriverà uno dei padri rosminiani, gli attuali gestori del palazzo, che con piacere racconterà a chi di passaggio di quel bambino che a 13 anni dedicò una poesia a Gesù per poi divenire il più intimo amico di Manzoni: sarà lui a bocciare quel Fermo e Lucia come primo titolo dei Promessi Sposi. Soffitti affrescati, marmi e soprammobili sono un effimero contorno di quel mondo di amicizie che Antonio seppe costruire intorno a sé.

Disdegnate le feste mondane organizzate nella sala degli Specchi dai suoi genitori con l’intento di trovargli una fidanzata, nel 1821 Rosmini, dopo gli studi di teologia a Padova, divenne sacerdote. Visse altri quattro anni a Rovereto prima di trasferirsi a Milano con lo scrittore e Niccolò Tommaseo. Fu l’incontro con Alessandro Manzoni, presentatogli dal cugino Carlo, a cambiargli la vita: nacque una delle più grandi e sincere amicizie intellettuali della storia. Sia Manzoni che Tommaseo resteranno accanto al beato fino alla morte, avvenuta a Stresa il primo luglio 1855. “Adorare, tacere, godere” furono le ultime parole bisbigliate da Antonio all’orecchio dell’amico Alessandro.

Ma la vita di Rosmini non fu scandita solo da preghiere e riflessioni: nella sua casa natale, sempre aperta agli amici per pranzi e discussioni, ancora oggi fanno da padroni i preziosi libri dell’elegante biblioteca. Condivise con lo zio Ambrogio - architetto, pittore e autore del suggestivo Crocifisso che domina la piccola Cappella adiacente al grande salotto con pianoforte - le stanze dello studio ospitano una serie di librerie in noce che contengono 15 mila volumi. Il filosofo è sepolto a Stresa, nella Chiesa accanto l’Istituto della carità, in “compagnia” del poeta Clemente Rebora. Quando morì, molte teste pensanti si sentirono in dovere di dedicargli un pensiero, come Cavour, che mandò un telegramma scrivendo che si era spento “l’uomo di cui bisogna mettere in evidenzia qualche limite, altrimenti le sue qualità così eccelse lo fanno apparire sovrumano”. 

Se invece vi trovate a Milano, dietro la Scala, in Via Gerolamo Morone, c’è la casa di Manzoni, da poco restaurata. E’ rimasto ben poco degli arredi originali, tutta colpa del figlio dello scrittore, che mise tutto in vendita alla morte del padre a causa dei debiti da gioco. La visita è interessante per fare un ripasso dei Promessi Sposi e scoprire che è un libro più intrigante di quel che sembrava negli anni di scuola, con personaggi coraggiosi che fanno una crescita straordinaria, come Don Rodrigo e Fra Cristoforo, mentre Renzo e Lucia, tremebondi, continuano ad affidarsi alla solita Provvidenza.

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