Come mettere in cantiere la capacità di leggere il futuro assieme, come combattere le solitudini esistenziali di giovani e vecchi o l'attraversamento di tanti confini (in senso figurato), o ancora come lenire lo smarrimento generale. E infine come superare le ideologie che in Italia hanno tenuto bloccate per troppo tempo riflessioni comuni? Domande sicuramente non facili eppure necessarie.
Il libro scritto dal cardinale Matteo Zuppi e da Walter Veltroni (curato da Edoardo Camurri intitolato “Non arrendiamoci”, 130 pagine, 16 euro, Rizzoli) si legge in poche ore ma fa riflettere poi per giornate intere. Uno è un uomo di chiesa, l'altro è un leader politico di sinistra, sono amici da una vita ed entrambi, ognuno dal proprio punto di osservazione (quindi mettendo in chiaro il confine rigoroso tra Chiesa e Stato) affrontano persino il grande quesito delle libertà individuali, chiedendosi se possono essere considerate un assoluto anche quando si tratta di difendere la vita umana.
Uno dei mali italici sui quali sembrano concordare è la solita contrapposizione ideologica che rende inagibili le questioni più disparate.
Le relazioni umane sono al centro dello scambio tra Zuppi e Veltroni. Assieme affrontano a fragilità esistenziale che sembra attraversare il nostro tempo dove tutto è ormai portato ad essere connesso eppure, sintetizzano gli autori, «non siamo mai stati così soli, e questo perché le reti in cui siamo immersi sono in realtà deboli e individualizzate». Affiorano qui e là l'egoismo, la dinamica della paura, dell'indifferenza, della tristezza fino alle fatiche legate alla crisi delle relazioni familiari, o alla rottura del patto inter generazionale. In genere è la paura del futuro e una certa incapacità ormai evidente «a rapportarci con gli altri» a complicare tutto.
Quali sono allora le sfide comuni? Innanzitutto la consapevolezza di poter trasformare «il deserto della solitudine, delle paure, in una foresta di relazioni» sintetizza il cardinale che in questo dialogo a due voci insiste sul senso della speranza per «non rassegnarsi alla tirannia dell'io». Veltroni offre valutazioni basate sul concetto di solidarietà e dice che troppo spesso è soffocata da «una celebrazione continua dell'egoismo».
In ogni caso dialogare senza preconcetti forse offrirebbe maggiori opportunità di sintesi: «Occorre - sintetizza Veltroni - radicalità delle intenzioni e realismo dell'attuazione, perché l'utopia di un mondo senza prigioni si sposa con l'utopia di un mondo senza mafia; e per combattere la mafia probabilmente abbiamo ancora bisogno del 41bis. Almeno, questo ci dicono tutti quelli che se ne occupano, e la storia mi sembra che lo confermi. Lo stesso vale per la pace. L'utopia della pace si deve sostanziare attraverso ciascun passo progressivo e necessario. In fondo, tutte le conquiste alle quali abbiamo accennato sono state costruite percorrendo millimetro per millimetro la strada, onorando ogni piccolo spazio che si apriva». A frenare soluzioni sembrano essere le paure che finiscono poi per condurre all'indifferenza e forse anche al fatalismo. E questo in un momento in cui il mondo rischia la catastrofe ambientale, climatica, ed addirittura nucleare, occorre battersi per orientare il futuro nella direzione del «bene dell'umanità». Da qui il titolo dell'opera: non arrendiamoci.