Pressing del Messico sul Papa per il mea culpa sui crimini dei Conquistadores spagnoli

Pressing del Messico sul Papa per il mea culpa sui crimini dei Conquistadores spagnoli
di Franca Giansoldati
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Lunedì 19 Ottobre 2020, 18:26

Città del Vaticano – I fantasmi del passato che ritornano e riportano a galla capitoli storici bui. Come atteggiamento dei conquistadores spagnoli, subito dopo la scoperta delle Americhe, nei confronti degli indios considerati non equiparabili ai bianchi. All'epoca non mancarono nemmeno dispute teologiche per stabilire se le popolazioni maya o inca avessero o meno un'anima. Solo nel 1537 una bolla papale – la Sublimis Deus – promulgata da Paolo III, vietò finalmente la schiavitù degli indios invalidando qualsiasi contratto, decretando che gli indios erano davvero esseri umani.

Nel 1992 fu Papa Wojtyla, per primo, durante un viaggio in America Latina, a sollevare l'argomento mettendo in evidenza le sofferenze enormi arrecate dal cristianesimo a quel continente.

Conversioni forzate, omicidi, annientamento culturale e altre nefandezze compiute dai conquistadores sui nativi, sterminati tra l'altro da virus che fino a quel momento non conoscevano, come la febbre tifoide, il vaiolo, la scarlattina. Malattie che decimarono le popolazioni andine, inca e maya.

Oggi, sotto la spinta del Black Lives Matter, la questione del mea culpa si ripropone riaprendo contenziosi diplomatici tra la Spagna e il Messico, riaccendendo scontri politici più che storici, alimentati dalla martellante richiesta del presidente messicano Manuel Lopez Obrador al Papa di farsi portavoce di un corale mea culpa sulle responsabilità della Chiesa che inizialmente affiancò i conquistadores. 

In questi giorni monsignor Rogelio Cabrera López, presidente della Conferenza episcopale messicana e arcivescovo di Monterrey, ha rassicurato Obrador, che la Chiesa «chiederà perdono per gli abusi commessi durante la conquista dell'America, 500 anni fa, e lo farà nel 2021, nel 200esimo anniversario della realizzazione dell'indipendenza». L'arcivescovo non ha specificato se anche Papa Francesco si farà carico di questa richiesta, tuttavia il tema resta ben presente in Vaticano anche perchè Obrador ha mandato una seconda lettera al Papa, stavolta per chiedergli in prestito temporaneo alcuni antichi manoscritti sulla cultura indigena dei Maya e degli Aztechi conservati nella Biblioteca Vaticana. L'intenzione è di esporli al grande pubblico in occasione del 500esimo anniversario della conquista spagnola del Messico. «In occasione di questo evento sia la monarchia spagnola, la Chiesa e lo Stato Messicano devono offrire pubblicamente le scuse ai popoli nativi che hanno sofferto tanto».

La lettera di due pagine è anche stata pubblicata sulla pagina Twitter del presidente Obrador e consegnata al Papa da sua moglie Beatriz Gutierrez Muller, due settimane fa. Uno dei tre codici richiesti è il Codice Borgia, una opera dal valore incalcolabile. Tra le pagine ci sono raffigurazioni delle divinità e dei rituali dell'antico Messico. Si tratta di uno degli esempi meglio conservati di scrittura in stile azteco che esistano. Dopo la conquista spagnola avvenuta nel 1521 le autorità cattoliche del tempo fecero distruggere tutto quello che aveva a che fare con la scrittura maya, inca e atzeca liquidando quel patrimonio di conoscenza perché considerato opera del diavolo. 

Per Papa Francesco non sarebbe la prima volta di farsi interprete di parole di perdono per le nefandezze della Conquista. Già durante il suo viaggio in Bolivia chiese «umilmente perdono, non solo per le offese della propria Chiesa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America».

 La battaglia di Obrador per il riconoscimento delle colpe dei conquistadores e dei cristiani in generale ha già generato tensioni a livello internazionale. L’arrivo di Hernán Cortés in Messico mise in moto una «distruzione sistematica delle culture mesoamericane, una pratica che è continuata anche nei due secoli dell’indipendenza, come testimoniano le stragi di yaquis e maya durante il governo di Porfirio Díaz».  

La richiesta messicana ha già provocato una dura reazione del governo spagnolo che considera la richiesta un errore.

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