La Santa Sede sta cercando di realizzare l'incontro tra il Papa e i famigliari degli ostaggi nelle mani di Hamas. «Stiamo lavorando e speriamo al più presto di poterlo realizzare». Probabilmente la prossima settimana. Come spesso accade spetta al cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ad aggiustare certi testa-coda diplomatici che ogni tanto affiorano in Vaticano quando le decisioni del Papa non sembrano perfettamente allineate o coordinate con i funzionari della Segretaria di Stato, come se il meccanismo che un tempo era fluido, si inceppasse per un motivo o per l'altro, dando all'esterno l'impressione che Francesco sia portato a prendere tante decisioni in autonomia, un po' come era sua attitudine fare quando era cardinale a Buenos Aires o provinciale dei Gesuiti. In questo caso specifico il nodo che si è andato a creare con l'udienza dei famigliari dei sequestrati israeliani è delicatissimo oltre che ingarbugliato.
Subito dopo il pogrom antisemita del 7 ottobre portato avanti da Hamas, un gruppo di familiari di coloro che sono stati sequestrati dai terroristi e portati a Gaza come prigionieri, ha intrapreso in diverse capitali europee un viaggio per sensibilizzare l'opinione pubblica, i governi, gli intellettuali, le comunità ebraiche sul bisogno di fare il possibile per garantire la vita a 230 persone, tra i sequestrati ci sono anche neonati di pochi mesi e bambini.
A questo episodio inspiegabile se ne è aggiunto un altro, stavolta di diversa natura ma essendo capitato in sequenza, ha contribuito a creare confusione. Due settimane fa il Papa ricevendo un gruppo di rabbini europei ha volutamente fatto saltare il suo discorso (e di conseguenza quello dell'ospite), dicendo che non stava bene, salvo poi leggere un lungo testo all'udienza successiva e nel pomeriggio trascorrere ore con migliaia di ragazzi arrivati da tutto il mondo e la sera battezzare pure un bambino ucraino. Certamente quel giorno con i rabbini (tra cui alcuni suoi amici) il Papa forse voleva spendere quella mezzora a disposizione per concentrarsi a parlare direttamente con ognuno di loro, salutarli con grande affetto. Tuttavia questo fatto non ha di certo contribuito a chetare le acque con il mondo ebraico già increspate da alcune prese di posizione dei Patriarchi della Terra Santa sul conflitto palestinese giudicate troppo sbilanciate.
I familiari degli ebrei sequestrati potrebbero così tornare a Roma già la prossima settimana. Il cardinale Pietro Parolin ha ventilato questa possibilità stamattina parlando a margine di un convegno all'ambasciata italiana presso la Santa Sede. Ha poi espresso «sconcerto e turbamento» per la guerra ripetendo che la «guerra non è il mezzo di risoluzione dei conflitti» e rilanciando la soluzione dei «due popoli, due stati» con Gerusalemme «città di tutti, non di qualcuno». Ha infine lanciato un appello per la «Liberazione degli ostaggi» e «Cessate il fuoco».
«Vorrei insistere e ripetere l'appello che il Papa ha fatto più volte, in ogni suo intervento dal 7 ottobre: liberare gli ostaggi è un punto chiave per risolvere la situazione. Ci sono bambini, anche neonati, donne incinte, anziani, adulti, giovani, non solo israeliani ma anche di altri popoli e nazionalità. Credo che questo sia un punto chiave per tentare di sbloccare la situazione». Sull'Ucraina, invece ha fatto sapere: «Il Papa andrà a Kiev se potrà andare anche a Mosca».