Croce (La Sapienza): «Bene gli investimenti su Terni ma serve il "software" di servizi, scuola e cultura»

Croce (La Sapienza): «Bene gli investimenti su Terni ma serve il "software" di servizi, scuola e cultura»
di Giuseppe Croce
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Mercoledì 13 Aprile 2022, 19:01

La presentazione del piano industriale di Arvedi per Ast ha portato una ventata di novità per l’economia ternana. Novità che vanno ad aggiungersi ad altri movimenti in corso e che a partire già da quest’anno, e ancora nei seguenti, potrebbero portare a Terni un volume di investimenti come da diversi lustri non si vedevano. La nuova proprietà prevede per Ast un miliardo di investimenti, altre risorse straordinarie stanno arrivando con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) finanziato con i fondi di Next Generation Eu. Inoltre sta partendo il nuovo ciclo settennale di interventi finanziati dai fondi europei che saranno più abbondanti per l’Umbria rispetto al ciclo precedente per effetto del suo arretramento economico. Infine, è aperta la discussione relativa alla costruzione del nuovo ospedale. La prima caratteristica da osservare di questa fase è che, del tutto in linea con la storia di questa città, i nuovi investimenti, privati o pubblici che siano, sono esogeni, totalmente provenienti dall’esterno. Non solo Arvedi, ma anche il proprietario della Ternana, Bandecchi, che aspira a diventare protagonista legando sanità, opere pubbliche e sport (clinica e stadio), provengono da altri contesti territoriali. Così come sono certamente esogeni i vari fondi europei.

La seconda caratteristica da notare è la composizione settoriale degli investimenti, che ripropone, anch’essa, un profilo tradizionale per Terni, visto che presumibilmente si concentreranno su acciaio, infrastrutture, edilizia e sanità. Anche in questo caso è la Terni del Novecento che torna. Ma se l’arrivo di nuovi investimenti e nuovi attori è, fino a prova contraria, una buona notizia che dice che Terni riesce ancora ad attrarre, non mancano le ombre che vale la pena mettere in evidenza.

La prima ombra riguarda le relazioni tra Terni, e tutta l’area vasta ternano-narnese, e la Regione. Insieme al volume degli investimenti sta crescendo, forse anche al di là di quanto avvenisse già in passato, anche il ruolo della politica e della burocrazia regionali. Il piano industriale di Arvedi dovrà essere collocato all’interno di un Accordo di programma del quale la Regione è lo snodo principale. Centrale è la posizione della Regione nella partita dei fondi europei e del Pnrr. E le decisioni relative alla sanità ternana si prendono di fatto, ovviamente a Perugia.

È la Regione il collettore delle risorse pubbliche e l’interlocutore obbligato degli investitori privati, il decision-maker che distribuirà le carte. In che modo la Regione interpreta questo ruolo è noto ed è in stretta continuità con la linea delle precedenti giunte regionali: verticismo, scarsa attenzione alla sussidiarietà verso gli altri soggetti pubblici e privati e verso le città principali della regione, un tocco di “partenariato sociale” che serve a blandire e intermediare piuttosto che a coinvolgere e responsabilizzare le parti sociali, una forte propensione alla frammentazione delle erogazioni.

Il secondo aspetto critico sta nel fatto che opere pubbliche, acciaio e sanità possono rappresentare l’hardware ma poi serve anche il software per far ripartire la città. E se l’hardware può essere esogeno, il software non può che essere endogeno. Servizi avanzati, settore culturale, scuola e formazione, università: questo il software che serve a far respirare Terni. E ancora, capacità progettuali, ambizioni, disponibilità a costruire alleanze di soggetti locali su interessi e obiettivi condivisi, piccoli o grandi che siano.

Tutto questo manca e non saranno gli investimenti annunciati a farlo nascere magicamente. Qualche esempio? Basta notare il silenzio del sindaco e la distrazione dei sindacati ternani sulla questione, solo apparentemente marginale, della creazione di una Fondazione Its a Terni. Una partita nella quale la Regione ha posto un veto e la città ha fatto finta di non accorgersene. E ancora, la ritirata della Fondazione Carit dal proposito di acquisto del Palazzo ex Banca d’Italia, ormai messo ufficialmente in vendita, è un altro esempio di rinuncia a un progetto, che pure era stato annunciato dalla Carit, ben più ambizioso e di maggior valore di tanti altri sussidi erogati che non servono a smuovere alcunché. Insomma, Terni torna ad essere terreno di atterraggio di risorse e decisioni dall’alto ma è sempre meno capace di vita propria. È quello che si dice periferia. 

Professore di Economia
La Sapienza Università Roma

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