Memoria e legalità, al "Capitini" di Perugia la lezione di vita di Giovanni Impastato

Dopo il faccia a faccia al "Cassata-Gattapone" di Gubbio, il fratello del giornalista e attivista antimafia Peppino ha concluso all'Itet di Perugia la due giorni di incontri con gli studenti. Ai quali ha detto: «Siate curiosi, non abbiate paura di conoscere e difendere il vostro territorio».

Giovanni Impastato con la vicepreside dell'Itet Capitini, Simona Carlà
di Fabio Nucci
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Mercoledì 17 Gennaio 2024, 09:14

PERUGIA - Meno movida, più libri; meno social più impegno civile. Giovanni Impastato, fratello dell’attivista antimafia Peppino trucidato nel maggio 1978, ha concluso all’Itet “Capitini” di Perugia la due giorni umbra che lunedì l’ha portato a tu per tu anche con gli studenti del “Cassata-Gattapone” di Gubbio. «Incontrarvi è proseguire il dialogo con mio fratello che si è interrotto 46 anni fa». Il suo racconto ha suscitato interesse e curiosità nei ragazzi che, tra applausi e silenzi di riflessione, hanno scoperto una storia che il film “100 passi” ha saputo tramandare alle nuove generazioni. «Marco Tullio Giordana in 48 ore è riuscito in quello che non eravamo riusciti a fare in 22 anni, far conoscere le vicende di Peppino al grande pubblico». Per il dirigente dell'istituto perugino, Silvo Improta, «un’occasione per riflettere sulla mafia e sulle esperienze di vita che spesso ne sono derivate per capire cosa è stata in passato e cosa è ancora oggi la sua storia».

Per due ore lo scrittore ha intrattenuto i ragazzi raccontando l’evoluzione di Cosa Nostra dagli anni ’60 ad oggi, dalla mafia agricola a quella urbana, dai rapporti coi Badalamenti a Messina Denaro. Una narrazione cadenzata dal ricordo del fratello, ucciso il 9 maggio 1978 nel cui ricordo da metà anni '90 Giovanni Impastato ha intrapreso un’azione divulgativa e di sensibilizzazione portando avanti la missione del fratello che all’indomani dell’attentato allo zio Cesare (a metà anni ’60) disse: «Se questa è la mafia, la combatterò per tutta la vita». Un messaggio che lo scrittore, tra i fondatori della “Casa della Memoria Felicia e Peppino Impastato” ha replicato agli studenti (14 le classi coinvolte) rispondendo alle loro domande che hanno toccato il tema della lotta alla mafia. “Cosa possiamo fare noi?”. «Per combattere certi fenomeni occorre conoscerli e che voi abbiate percezione del vostro territorio per difenderlo e capire dove sta la mafia», ha detto ricordando che Peppino amava anche la lettura e il cinema, la musica e la politica. «Guardate più partite di calcio, leggete più libri, incontrate gli amici nella vita reale, non nei social», ha aggiunto raccontando l’aneddoto sul giornale dattiloscritto di cui Peppino Impastato fu promotore. «Era povero (stampato col ciclostile), ma ricco di idee: attaccava la mafia facendo nomi e cognomi e per questo a 18 anni nostro padre lo cacciò di casa.

Ma il giornale fu chiuso per un articolo sul calcio in quanto Peppino portava avanti una battaglia per avere un campo sportivo in paese». Agli studenti Giovanni Impastato ha confessato di sperare in un mondo con meno discoteche e più biblioteche. «In certi ambienti gira la droga che finisce sempre per alimentare gli affari della mafia», ha detto paragonando il fratello a Greta Thunberg: «Quello che fa lei oggi, lui lo faceva 50 anni fa in una dimensione diversa, contrastando anche con l’ironia (vedi l’esperienza di Radio Aut) un contesto dominato dalla mafia».

Le domande degli studenti hanno svelato anche un Peppino inedito, come quando vestito da clown in paese (Cinisi) si è improvvisato sputafuoco o come quando si dedicava al cineforum nel suo “Circolo musica e cultura” dove passava intere notti a parlare e a discutere con amici e conoscenti. «Specie con chi non la pensava come lui». Un racconto anche personale, la paura dopo l’uccisione del fratello e la lotta contro chi anche da morto infangava il suo nome. Prima, i dissidi con lui seguiti alla morte del padre al cui funerale Peppino si rifiutò di stringere la mano ai mafiosi. «Io non lo feci e ripensarci oggi è ancora imbarazzante: quel filo con la mafia si è spezzato solo dopo la morte di Peppino: incontrando voi ragazzi riesco a liberarmi di quel peso. Parlare con voi è come parlare con mio fratello, continuando quel dialogo spezzato 46 anni fa». A concludere l’incontro la professoressa Simona Carlà, vicepreside dell’Istituto Capitini: «Con questo incontro abbiamo gettato un seme che speriamo possa prima o poi germogliare».

Fabio Nucci

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