Terremoto, la coppia orvietana dimenticata morta nell'Hotel Roma
I familiari:«Mai invitati alle cerimonie»

Terremoto, la coppia orvietana dimenticata morta nell'Hotel Roma I familiari:«Mai invitati alle cerimonie»
di Sabrina Vecchi
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Martedì 23 Agosto 2022, 08:38

RIETI Erano stati da poco in Grecia, avevano ancora al polso quei braccialetti colorati che si comprano in vacanza. Un variopinto simbolo di spensieratezza che arriva sul display del telefono di Marco Gianlorenzi alle 3 del mattino del 28 agosto 2016: «Li abbiamo trovati». Dopo giorni di ricerche, i corpi dei coniugi Barbara Marinelli e Matteo Gianlorenzi, maestra elementare di 42 anni e commerciante di 44, erano stati individuati sotto le macerie dell'hotel Roma di Amatrice. «Quel messaggio me lo mandò un carabiniere dei Ris di Roma, Paolo Martini. Ci tengo a nominarlo per la grande umanità che ci ha dimostrato in quei giorni terribili». Marco, fratello minore di Matteo, riconosce quei braccialetti e capisce che non c'è più nulla da sperare. La coppia era arrivata la sera del 23 agosto in paese, giusto in tempo per cenare con i tradizionali spaghetti, immortalati in una foto che avevano inviato agli amici: un piatto di pastasciutta che fu il loro ultimo messaggio.
Matteo Gianlorenzi, titolare di cinque negozi di abbigliamento per bambini in Umbria, era molto noto ad Orvieto, e seguiva da anni le fiere del centro Italia con il suo stand ambulante. Per lui, quella non era altro che un'abituale trasferta lavorativa. «Di solito andava e veniva in giornata, alzandosi presto riusciva a lavorare senza pernottare», racconta Marco. La fiera di Amatrice era in programma il 24 agosto, una data che segna un terribile spartiacque per le popolazioni dell'alto Lazio. Ma quell'anno, per la prima volta, Matteo non va e torna nello stesso giorno, decide di fermarsi a dormire la sera precedente. Barbara sarebbe tornata a lavorare a scuola dopo pochi giorni, e per godersi insieme gli ultimi scampoli d'estate pensa di accompagnare il marito. «Ci eravamo incontrati un paio di giorni prima - dice Marco - mi avevano detto che avevano prenotato online un albergo nel paese. È stata l'ultima volta che ho visto mio fratello in vita». Le potenti scosse di quell'agosto di sei anni fa squarciano anche la notte di Orvieto: «Quando scoprimmo che il terremoto era in quella zona iniziammo a chiamarli, sempre invano. Dalle immagini televisive la facciata dell'hotel sembrava integra, pensavo fossero scappati in tempo». Ma il giorno successivo della coppia non si hanno notizie. Marco e sua moglie raggiungono Amatrice, con tutte le difficoltà di quei giorni: «Ricordo che un medico mi disse di cercare tra i morti, ma io non mi rassegnavo. Quando siamo arrivati all'obitorio da campo c'erano trenta corpi, la sera dopo ce n'erano duecento, ma di loro due nessuna traccia». Marco e la moglie si accampano per giorni nel palazzetto dello sport, cercano di riposare su tappetini di fortuna, di quelli che si usano in palestra. «Nel frattempo arrivò anche mio padre. Avevamo sentito che i vigili del fuoco non stavano più scavando, andammo a chiedere notizie: i pompieri ci fecero arrivare fin davanti all'albergo, stavano invece lavorando senza sosta. Parlai con alcuni vigili della Lombardia, mi fecero capire che probabilmente mio fratello e mia cognata erano sotto quel mucchio di sassi. Scoprii in seguito che pernottavano al primo piano, la nostra speranza è che il crollo li abbia colti nel sonno e non si siano accorti di nulla».
I PROBLEMI ECONOMICI
Il riconoscimento dei corpi sceglie di farlo Marco per entrambi, evitando al padre e al fratello di Barbara un momento tanto doloroso. Dopo i funerali di Stato in Duomo e il grande affetto della città di Orvieto, per la famiglia Gianlorenzi iniziano i problemi economici: «Il titolare della ditta era Matteo, senza la sua gestione abbiamo dovuto chiudere e mandare a casa dodici dipendenti, mettendo altrettante famiglie in difficoltà». Di sussidi neanche l'ombra, e non stando sul posto della tragedia, neppure la possibilità di ricevere qualche aiuto transitorio. «Siamo stati del tutto dimenticati. I funerali di Stato ci sono stati rimborsati dopo cinque anni, per il resto non siamo stati aiutati in nulla».
Nel frattempo, l'iter del processo civile rallenta: «Vogliamo giustizia sugli abusi edilizi compiuti su quell'albergo, ma ci stiamo scontrando con rinvii e lungaggini burocratiche, dopo sei anni siamo ancora lì. Mentre il processo penale procede spedito, tanto che il prossimo 17 ottobre ci sarà l'ultima udienza del primo grado». I familiari di Matteo e Barbara torneranno in aula a Rieti, di nuovo: «Ripercorrere tutto in tribunale contribuisce a riaprire ogni volta la nostra ferita e la sofferenza di una vita stravolta». Nel frattempo, nell'Area del gusto realizzata dall'architetto Stefano Boeri, il ristorante Roma di Amatrice prosegue a servire fumanti piatti di spaghetti, dopo la riapertura avvenuta nel luglio 2017 grazie alla sottoscrizione di La7 e Corriere della Sera. «Non entro nel merito del processo - dice Marco - perché confido nella giustizia e nelle sue opportune sedi. Di fatto loro sono stati aiutati e hanno ricominciato subito a lavorare, noi invece viviamo tra mille difficoltà». Nella settimana più affollata dell'anno, quella della sagra, all'hotel ristorante Roma alloggiavano 32 ospiti, sette dei quali sono morti sotto le macerie. «Sono tornato due anni dopo ad Amatrice, ci siamo stretti in un momento di raccoglimento e siamo andati via. Non siamo mai stati contattati da nessuno, né dal Comune, né da altri parenti di vittime, nessun invito a partecipare alle celebrazioni, nessuna attestazione di cordoglio, niente di niente. Il 24 agosto ci uniremo in famiglia, come abbiamo sempre fatto». Anche da parte dei titolari dell'hotel, nessun segnale in sei anni: «Li abbiamo visti in televisione, dicevano che non si sentivano responsabili del crollo, che avevano le licenze in regola», spiega Marco. «Al di là delle colpe o meno, avrebbero potuto mandare un semplice messaggio di condoglianze oppure un mazzo di fiori ai clienti che sono morti nel loro albergo. Non sarebbe cambiato nulla, ma almeno avremmo visto un segnale di umanità».
 

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