Regione in chiaroscuro nell'analisi di Bankitalia: «Vulnerabilità su produttività e innovazione». Per molte famiglie l'inflazione percepita è al 17%

L'incontro in Banca d'Italia
di Fabio Nucci
4 Minuti di Lettura
Giovedì 22 Giugno 2023, 09:50

Gli elementi di rilancio non mancano, ma in Umbria convivono con problemi strutturali persistenti e qualche ombra sull’efficiente utilizzo dei fondi Ue. I ricercatori della filiale Bankitalia di Perugia ritraggono una regione sospesa tra slanci e frenate, col 2023 che si è aperto con imprese e famiglie che hanno visto i risparmi mortificati dall’inflazione che i nuclei meno facoltosi percepiscono al 17%. Ne conseguono consumi deboli e investimenti sull’ottovolante.
Recuperati i livelli pre-Covid, nell’economia regionale restano alcune incognite. «Nel 2022 l’Umbria ha denotato una buona resistenza e secondo il nostro indicatore Iter, il Pil è cresciuto del 3,6% - spiega la direttrice Myriam Sartini – ma permangono profili di vulnerabilità su produttività, innovazione, internazionalizzazione, dimensioni aziendali e attuazione dei Por». Il 2022 si è chiuso con un rallentamento che rischia di frenare le prospettive dell’anno in corso pure sostenute da un export brillante: +7,1% in termini reali. Ombre si allungano sul lato import che in termini monetari è cresciuto del 31,5% col nucleo di ricerca umbro di Bankitalia che ha analizzato anche la “dipendenza strategica dell’economia regionale”.

«C’è un rischio esposizione da import – spiega il ricercatore Giovanni Battista Carnevali – in relazione ad alcuni beni strategici». Il riferimento è a materie prime non energetiche, semilavorati e beni capitali per i quali, una riduzione dell’import da paesi “ad alto rischio geopolitico” tra il 25 e il 50% causerebbe un calo del valore aggiunto tra lo 0,3 e il 5,1%.
Elementi di solidità arrivano dalle costruzioni, il cui valore aggiunto è cresciuto del 10%, le ore lavorate del 20%, le compravendite del 14%. «Uno slancio determinato da Superbonus, investimenti pubblici e ricostruzione – aggiunge Carnevali – frenato dalla crescita subita dai tassi di interesse (+20% per i mutui a tasso variabile, ndr)». Il turismo, invece, traina i servizi, con l’effetto-aeroporto sempre più evidente: a fronte di voli raddoppiati, nel 2022 il numero dei passeggeri (360mila) rispetto al 2015 è triplicato. Le incertezze percepite a livello internazionale e la riduzione della domanda interna invece incidono sulle previsioni di investimento con 6 aziende su 10, stando all’indagine congiunturale di Bankitalia, prefigurano un calo. Aiuta la crescita dei lavori pubblici del 14,1% ma il dato pro capite della spesa per investimenti degli enti locali resta sotto il dato nazionale. «L’Umbria è tra le regioni in transizione – ricorda Sartini - per cui ha ricevuto molti fondi per il programma Ue 2021/27 dei fondi di coesione ma va migliorato il livello di attuazione finanziaria dei Programmi operativi regionali, inferiore ai Por delle altre regioni». Per il settennio precedente, si registra un ritardo nei pagamenti dei fondi Ue, utilizzati al 59,8% (82% in Italia. Sul versante Pnrr, la dotazione a disposizione di soggetti attuatori pubblici è di 1,6 miliardi di euro con gare bandite nel 34% dei casi (27% in Italia). «Ci sono cose da fare presto e fondi da spendere – osseerva Sartini – con ritardi pluriennali da recuperare e tendenze inarrestabili da seguire, specie su digitalizzazione-tecnologia e transizione energetica».
Il mercato del lavoro vede un calo degli occupati dovuto alla riduzione degli autonomi (-3,7%) non compensata dal recupero del lavoro dipendente (+0,5%) mentre la crescita del tasso di occupazione va attribuita a dinamiche demografiche negative.

Salito al 7,1% il tasso di disoccupazione che resta sotto il dato nazionale (8,1) col fenomeno più evidente tra giovani e donne. Resta il nodo disallineamento tra competenze offerte, anche da laureati, e richieste che nel 2022 è valutato al 40%. A proposito di lavoratori, i loro bilanci appaiono sempre più provati dall’inflazione che in Umbria pesa di più che nel resto del paese e maggiormente tra i nuclei con redditi più bassi. Famiglie per le quali il tasso percepito è arrivato al 17% con un gap del 9% rispetto ai più facoltosi e che a marzo 2023 si è ridotto al 3%. «Per tali nuclei pesano di più i rincari subiti nei capitoli alimentari, abitazione e utenze», spiega la ricercatrice Lucia Lucci. Se il costo del lavoro per le industrie è cresciuto di appena l’1,6%, il reddito disponibile delle famiglie è infatti sceso dell’1,8%. Non stupisce, quindi, la perdita di fiducia tra le famiglie, il 7,5% delle quali nel periodo 2017-2021 era considerata in “povertà energetica”, mentre i loro risparmi si sono ridotti. «A fine marzo la dinamica era del -3,8%», aggiunge Lucci. «Un calo che a differenza delle imprese non può essere attribuito a scelte di investimenti a più alto rendimento».

© RIPRODUZIONE RISERVATA