Amelia, salvò la vita ad un uomo per strada. Lucia Bussotti guarda al nuovo anno:«E' il tempo per pensare ai sanitari»

Amelia, salvò la vita ad un uomo per strada. Lucia Bussotti guarda al nuovo anno:«E' il tempo per pensare ai sanitari»
di Francesca Tomassini
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Domenica 1 Gennaio 2023, 12:09 - Ultimo aggiornamento: 19:00

Lucia Bussotti, responsabile dell'assistenza territoriale nel distretto sanitario Narni-Amelia saluta il 2022 tirando le somme di un incarico che, soprattutto durante la pandemia, si è rivelato un macigno, ma che oggi lei racconta con un sorriso perchè, spiega, "ci siamo ritrovati squadra". A giugno scorso, ha effettuato un intervento salvavita su un uomo colpito da infarto mentre camminava per strada ad Amelia. Il suo bilancio sull’anno appena finito, non poteva che iniziare da qui.

Come è andata quel giorno, che è successo?

«Mi stavo spostando da un ufficio all’altro quando proprio appena fuori da Porta Romana ho visto del movimento. C’erano delle persone che reggevano un uomo. Cercavano di sdraiarlo a terra. Mi sono avvicinata e quando l’ho visto ho capito subito la gravità della cosa. Era livido, ho cercato di prendergli il polso ma era assente. Era in arresto. Al che mi sono messa “alla testa”, come si dice, e ho cercato di fare il possibile. Non era come sull’ambulanza, non avevo nulla e per questo, al di là delle mie capacità mi ricordo che istintivamente ho alzato gli occhi al cielo, quasi a chiedere "una mano in più". In pochissimo tempo è arrivato il defibrillatore che qualcuno ha preso dalla farmacia lì vicino. Defibrillato una volta, due, e quando alla terza ho risentito il polso, ho avuto la certezza che ce l’avrebbe fatta. È stata un’emozione che non si può descrivere. Stando sulle ambulanze, capita di fare rianimazione ma purtroppo, nonostante tutti gli sforzi, spesso non va a buon fine. E allora c’è la delusione, la frustrazione di non essere riusciti ma anche la consapevolezza che è successo perché magari quando sei arrivato era già troppo tardi. Questa volta invece so di aver strappato alla morte un uomo. Era come si fossimo in due a tirare la fune. Era tutto lì, stava succedendo in quell’istante. Per i due giorni successivi ho vissuto come in una bolla».

Dalle stelle alle stalle, qual è stata la cosa peggiore del 2022?

«Non c'è stata una cosa peggiore, una brutta notizia in particolare. Diciamo che la difficoltà che ho avuto e che sto incontrando tutt'ora, è fare i conti con quello che la pandemia ha lasciato dietro di sé. In me e nel mio gruppo. Parlo in termini emotivi.

Durante il lockdown e tutte le ondate successive non c'è stato il tempo di pensarci. Dovevamo agire, aiutare, imparare protocolli, cercare di proteggere e proteggerci. Non c'è stato spazio per le emozioni. Certo, qualche momento buio si, magari "a solo", con qualche operatore o operatrice. Il pianto dirotto di un attimo di sconforto. Ma finora mai è stato dedicato un tempo corale solo a questo. A scandagliare quello che hanno significato due anni di emergenza sanitaria. Dovremmo farlo, e presto, perchè è un carico che sta premendo per uscire».

E la cosa migliore?

«Ritrovarsi gruppo, affiatato, dove ognuno è presente a se stesso e per gli altri, disponibile a "sacrificarsi" perchè tutto funzioni, per non creare buchi nel servizio. Il pensiero torna ancora alla pandemia perchè anche se ora sembra finita in termini sanitari, non lo è sotto l'aspetto delle ricadute che volente o nolente ha avuto, e sta avendo, sulle persone. Sono successe cose che io stessa ho saputo molto dopo, di quelle che continuano a "farmi pensare". Per esempio una collega che all'epoca del lockdown aveva una bambina di otto mesi, ha scelto di lasciarla alla madre e non vederla per tre mesi. Voleva proteggerla e nello stesso tempo lavorare, consapevole che assentarsi, seppure ne avrebbe avuto il diritto, avrebbe creato un problema. Oppure un altro che non è tornato a casa per mesi. Per poter continuare a stare sull'ambulanza senza rischiare di portare il virus a casa. Perchè proprio chi stava sulle ambulanze ha preso la botta più grossa, con quella paura ricacciata in fondo allo stomaco durante le ore passate nello spazio angusto dell'abitacolo insieme a un paziente Covid, in fila in attesa di affidarlo al Pronto Soccorso».

Com'è il 2023 dei desideri?

«Vorrei che ci fosse lo spazio per una memoria condivisa di un tempo sospeso, quello della pandemia. Per ripercorrere insieme quanto abbiamo vissuto in prima linea e avere la possibilità di metabolizzarlo insieme e andare oltre. E poi mi piacerebbe che tutti si ricordassero di quello che ha fatto il territorio nel momento dell'emergenza. Un territorio che deve essere valorizzato, anche con le risorse che consentano di continuare a lavorare nel migliore dei modi».

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