Gianmarco Tamberi: «Voglio vincere a Parigi e superare i 2,40. Portabandiera? Lo merita Paltrinieri, Sinner ha tempo»

Il campione olimpico di Tokyo elenca i suoi obiettivi per il 2024

Tamberi: «Voglio vincere a Parigi e superare i 2,40. Portabandiera? Lo merita Paltrinieri, Sinner ha tempo»
di Piero Mei
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Martedì 2 Gennaio 2024, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 08:34

Rullo di Tamberi.

«Cosa vorrei fare a Parigi? Vincere l’oro, saltando 2,40».

Significato speciale, Gimbo?

«Sarei il primo a vincere due volte le Olimpiadi nel salto in alto: è una disciplina che logora, per questo nessuno ha fatto il bis, non si dura tanto».

E il 2,40?

«Sarebbe record italiano per cominciare, ma soprattutto sarebbe record olimpico. Il che vorrebbe dire che avrei vinto tutte le Olimpiadi che ci sono state, dalla prima a ora».

La prima la vinse un americano, Ellery Clark: saltò 1,81. Tre giorni prima aveva vinto il lungo… Un tipo alla Mr Jump, quell’Harrison appena battuto da lei a Budapest mondiale.

«Già, e ci sarà ancora credo. Come il mio amico Bashir con cui abbiamo diviso l’oro a Tokyo e che sento sempre. Lui farà la stagione indoor, io no. E ci sarà il coreano Woo, un tedesco che sta crescendo, e poi chissà».

Lei che farà?

«Sono in partenza per il Sudafrica: 24 giorni di “raduno”, lontano da tutto e da tutti, pensando solo a una cosa, allenarmi duramente.

E’ dieci anni che vado lì, ma non penso ad altro. Avrei sempre voluto vedere il Parco Kruger, mai fatto: non voglio distrazioni quando mi alleno. La concentrazione è determinante. Io mi alleno tutti i giorni: meno uno l’anno, il Natale».

Perciò ora pedana continua. Al record del mondo non pensa mai? E’ fermo a 2,45 dal 1993: appena sopra la traversa di una porta di calcio, la scheggia quasi. E quello femminile è addirittura del 1987, 2,09, Stefka Kostadinova. Voi saltatori siete rimasti indietro…

«Colpa della pronazione».

Cioè?

«Tutte le specialità dell’atletica stanno migliorando esponenzialmente, grazie specialmente all’evoluzione tecnologica: c’entrano le scarpe, c’entra la fibra di carbonio. Ma i saltatori al momento dello stacco la scarpa si piega verso all’interno e la caviglia pure, e la forza centrifuga ti porta da un’altra parte. La mia è una disciplina traumatica: la fibra di carbonio non aiuterebbe, anzi… C’è un video su Instagram che lo spiega meglio di ogni parola».

Ora il Sudafrica, poi?

«Direi una gara a maggio, poi gli Europei di Roma, che sono importantissimi per me, ma…».

Ma le Olimpiadi…

«Sono il sogno da bambino di chiunque faccia sport. Dovessi fare Roma, vincere l’Europeo, all’Olimpico, con il mio pubblico, sarebbe una sensazione speciale. Però…».

Parigi olimpica è un’altra cosa. Ha già gareggiato nella capitale francese?

«Una volta, al ritorno dall’infortunio. Tre nulli alla misura d’ingresso e via…».

Magari era solo un meeting del circuito dei soldi. A lei i meeting importano meno: è la gara secca che stimola.

«E’ fare la performance quando serve. E’ una mia caratteristica. Credo che i miei avversari lo sappiano: se a un meeting mi temono diciamo con voto 5, alle gare che contano il voto sale».

E sale anche Gimbo, specie se c’è il pubblico.

«E’ quello che mi è mancato a Tokyo: tutto perfetto, ma l’energia che ti dà il pubblico ti fa volare».

Lei poi ha un’empatia particolare con la gente in tribuna.

«Effettivamente penso di sì; ai mondiali di Budapest tifavano talmente per me che mi sembrava di essere… ungherese. Nel basket diciamo “il sesto uomo”».

Però poi sui social diventano haters: Gimbo ne ha?

«E chi non li ha? Vanno a momenti, a ondate».

Tamberi è indiziato di “alfierismo”: potrebbe essere il portabandiera a Parigi.

«Sarebbe bellissimo, un riconoscimento alla carriera. Nessuno mi ha detto niente, ma già essere in una short list è gratificante».

Togliamo Tamberi: Paltrinieri o Sinner? Sono i nomi più ricorrenti.

«Greg tutta la vita. Sinner è stato magnifico, sta vivendo un gran momento. Paltrinieri di momenti ne ha vissuti tanti… E poi mi pare che l’unico criterio sia aver vinto un oro olimpico. Sinner è talmente giovane che potrà farlo dopo, due o tre volte».

Si giocherebbe con Paltrinieri il ruolo su di un campo di basket, campo neutro? Una gara nel tiro da tre punti…

«Anche nella gara delle schiacciate: ho giocato a basket 14 anni, mi sa che non accetterebbe…».

Se va come a Tokyo, l’alfiere sarà in coppia: con chi?

«Come capitano dell’atletica azzurra non avrei dubbi: Antonella Palmisano. Fuori dall’atletica, se vale l’oro direi Caterina Banti, la velista. O una della scherma: è sport nostro».

L’oro di Tokyo è sempre con il gesso?

«No, ora il gesso l’ho passato a un amico: è in difficoltà e gli farà coraggio e bene. L’ha fatto a me».

Della medaglia non parliamo dov’è per non suscitare appetiti: la guarda mai?

«Non tanto, comunque è al sicuro: non mi piace vivere nel passato, nel futuro sì. Certo i ricordi ci sono ed a volte penso che alla medaglia dovrei pensare di più: quante energie, fatiche, lacrime! Meriterebbe le coccole che non le faccio. Quando finirò la carriera… Poi mi è capitato facendo speech o nelle scuole, di toccarla. Un paio di volte o tre m’è venuto da piangere. Quando racconto com’è andata da Rio a Tokyo vedo tanti occhi lucidi intorno. Il passato mi viene chiesto nelle interviste…».

Curioso che i due «abbracciati di Tokyo» abbiano cambiato allenatore entrambi, Jacobs vita e continente… Appagati in cerca di nuovi stimoli?

«Non parlo per Marcell, lo sa lui il perché. Io appagato? Quello mai. Era da tempo che il rapporto con l’allenatore, che era anche mio padre, era complicati. Ora ho un bel team, stiamo bene insieme».

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