IL PRECEDENTE
Un po’ come Garcia nel suo terzo anno. Quella volta il club, con l’inserimento di un doppio preparatore, Norman e Lippie, lo aveva praticamente delegittimato. E poi la stagione andò come andò, con un esonero tardivo ma inevitabile/prevedibile. Ecco, Fonseca aspetta e (forse si aspettava) un intervento che lo legittimasse, che lo sostenesse subito, anche dopo il cambio di proprietà. Una proprietà che probabilmente oggi stesso incontrerà in conference call da Trigoria, prima che cominci il lavoro sul campo e prima di vederla di persona. Per adesso il suo unico interlocutore è il Ceo Guido Fienga (a Milano per questioni di mercato, pronto a rientrare nella Capitale) con cui ha un buon rapporto e che sta cercando di tenere alta l’attenzione: l’ad parla quotidianamente con lui, esternandogli la fiducia e tranquillizzandolo su voci, varie ed eventuali. Perché questa deve essere la stagione del riscatto e nessuno vuole partire con tensioni, ma con questo tappeto non è facile. Fonseca sa di aver commesso degli errori e soprattutto la sua popolarità è calata dopo la triste partita contro il Siviglia: tanti si aspettavano di più, quantomeno di combattere, di essere in gara. Invece la Roma è stata presa, a sorpresa visto il finale di campionato, a pallonate dagli spagnoli. Le sue parole a fine partita («è stata una stagione positiva») sono state viste come uno scivolone di comunicazione, che hanno fatto arrabbiare parecchie persone. Positiva? Per cosa? La Roma ha perso le distanze dal quarto posto a febbraio, dopo la sfida contro l’Atalanta; è stata eliminata dalla Coppa Italia contro una Juve, che ha rischiato di uscire con il Milan; e poi, in Europa League, abbiamo detto, c’è lo smacco di Duisburg. Di positivo c’è poco, ma non per questo Fonseca si sente di meritarsi una bocciatura. Quantomeno si sente (giustamente) in diritto di provarci ancora. Magari con la fiducia di tutti
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