Lazio, Radu il “boss” della prima ora: 12 anni qui ad aspettare un sogno

Lazio, Radu il “boss” della prima ora: 12 anni qui ad aspettare un sogno
di Daniele Magliocchetti
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Martedì 25 Febbraio 2020, 09:30
 Di favole in questa Lazio ce ne sono diverse, ma la più appassionante e romantica è quella di Stefan Radu, per tutti nello spogliatoio il “Boss”. Un storia d’altri tempi, quasi di un calcio che non c’è più. Da giocatore simbolo a epurato e oggi ritrovato e indiscusso leader. Di nuovo e ancora più solido di prima. E’ senza dubbio lui una delle figure e dei segreti più importanti della rinascita biancoceleste. A fine giugno, mentre tutti rientravano dalle vacanze per cominciare il ritiro, Stefan, dopo dodici anni di militanza, aveva svuotato l’armadietto di Formello e preparato le valigie. Aveva rotto con tutti e le responsabilità erano sue. Un taglio netto che aveva sconvolto l’ambiente laziale. Alla fine della passata stagione, dopo un infortunio, non si sentiva più a suo agio con se stesso e con la squadra, non riusciva più ad essere Radu, il giocatore che dà in campo l’anima. Per la società era un capitolo chiuso, poi, grazie alla mediazione di qualche compagno, di Inzaghi e alla comprensione di Lotito, il passo indietro e le scuse, soprattutto alla società. «E’ stato il periodo più brutto e buio della mia carriera, la colpa è stata mia», disse con voce commossa e gli occhi lucidi il 16 luglio ad Auronzo, il giorno del rientro. E quel momento, probabilmente insieme a quello del rinnovo di Inzaghi, sono le date della vera ripartenza della Lazio. Lì, verosimilmente, è cominciato tutto. 
L’UOMO ACCIAIO 
Impossibile immaginare una Lazio senza il romeno. Arrivato giovanissimo a gennaio del 2008 dalla Dinamo Bucarest, buttato subito in campo da Delio Rossi a Firenze in Coppa Italia da centrale difensivo accanto a Siviglia. Poi una vita da terzino sinistro, tanti allenatori, 371 presenze a meno cinque da Negro, terzo assoluto dietro a Wilson e Favalli. Ma soprattutto tanti successi: tre coppe Italia e tre Supercoppe. E’ il giocatore più vincente dell’era Lotito. In mezzo tante battaglie, qualche infortunio e l’incidente più brutto, nel 2011, quando a Catania, in un bruttissimo scontro con Schelotto, cadde rovinosamente sulla schiena, fratturandosi la seconda e terza vertebra lombare. Rischiò paralisi e carriera. Si rialzò di nuovo e da lì un crescendo, fino all’avvento di Inzaghi, suo ex compagno di squadra. L’arrivo del tecnico l’ha rigenerato, tanto è vero che ogni anno che passa non fa che ringiovanire. A trentatré anni corre come uno di venti. Per conferme basta andare a chiedere a Lautaro o Dybala, annichiliti in novanta minuti. Senza di lui non si cominciano feste o riunioni nello spogliatoio. Pubblicamente appare taciturno e introverso, in realtà è uno dei primi a fare rumore e organizzare scherzi, ma quando entra in campo e gioca si trasforma in una specie di “supereroe” della difesa. L’ennesima conferma due giorni fa a Genova, dove ha aiutato e supportato Vavro, stimolandolo e incoraggiandolo per l’intera gara. E i risultati sono stati evidenti. Chiuderà la carriera nella Lazio, magari con un nuovo rinnovo di altri due anni. E con il sogno di vincere lo scudetto. 
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