Vela, l'impresa sfiorata di Pedote
La MiniTransat sfuma per un guasto

Giancarlo Pedote (foto di James Robinson Taylor)
di Francesca Lodigiani
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Martedì 10 Dicembre 2013, 17:50 - Ultimo aggiornamento: 17:54
Maest non c’ un secondo. E’ la frase che si narra fu detta alla regina Vittoria quando il 22 agosto 1851 la goletta America tagli per prima l’arrivo della regata intorno all’isola di Wight. Giancarlo Pedote, 38 anni, fiorentino, marito di Stefania, papà di Aurelio, 5 mesi, sembra pensarla allo stesso modo. Lui la MiniTransat 2013 l’ha fatta solo per vincerla. Una vittoria che per 3400 miglia è sembrata certa. Ma poi, a 300 miglia dall’arrivo, su una doppia onda maligna, il bompresso, quel “palo” che prolunga la prua al quale si assicura lo spinnaker, si è spaccato in due, e nonostante una riparazione a tempo di record, l’avversario, il francese Benoit Marie è riuscito a passare in testa e ad anticiparlo di tre ore a Pointe a Pitre.



E’ passata una settimana da allora. Giancarlo è ancora in Guadalupa. «Sto smontando il mio Prysmian per caricarlo sul cargo che lo riporterà in Francia Stefania e Aurelio sono con me. All’arrivo vederli è stata una gioia enorme». Nonostante il dolore “da coltellata al cuore» della scoperta di esser arrivato «solo” secondo su 76 . Parla velocissimo Giancarlo Pedote col suo accento toscano e le parole si accavallano: «La vittoria me l’ero guadagnata. Avrei stravinto, se non si fosse rotto il bompresso e se non avessero annullato la 1° tappa dalla Bretagna quando ero a 4 miglia dall’arrivo. Dopo una dura navigazione attraverso la Biscaglia, ero in testa di 4 ore su tutti e di 12 su Marie, che tra l’altro aveva rotto il bompresso! Quella decisione dell’organizzazione mi ha lasciato basito. La vita ti prende in giro a volte: a lui quella rottura non è costata nulla. A me la regata».



Laureato in filosofia, gran viaggiatore, skipper di charter a partire dai 20 anni, Pedote nasce velicamente in windsurf. Al Mini 6.50 ci arriva tardi. «Era il progetto di quel tipo più abbordabile – racconta - e ci sono voluti 10 anni di risparmi. Un progetto in solitario perché in barca non mi piace condividere le scelte. Voglio gestire ed esser responsabile da solo delle criticità. Né mi pesa non parlare con nessuno per giorni. La traversata atlantica in sé, se decidi di farla, non è poi questa gran avventura. Se metti in mare una cassetta di frutta alle Canarie, quella comunque tra vento e corrente dall’altra parte ci arriva. La difficoltà è arrivarci velocemente. Per prepararmi bene io mi sono trasferito con la famiglia a Laurient in Bretagna, la capitale della Course au Large. E’ lì che ti confronti con i velisti migliori e cresci. E’ lì che trovi i professionisti per costruire, attrezzare e imparare. Io della mia barca conosco tutto, ogni singolo pezzo e così posso riparare le scontate avarie. Dormire? Mangiare? A me il comfort a bordo lo dà la velocità. Dormo e mangio fuori, dove e quando do meno fastidio alla barca. Posso non dormire per 24 ore, altrimenti a 12 minuti per volta. Mangio liofilizzati, barrette, prosciutto e formaggio sotto vuoto della mamma di un amico di Follonica».
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