La nuova vita di Tai Aguero: «Io, divisa tra due amori: mio figlio e la pallavolo»

La nuova vita di Tai Aguero: «Io, divisa tra due amori: mio figlio e la pallavolo»
di Andrea Andrei
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Lunedì 4 Agosto 2014, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 5 Agosto, 15:20
A vederla coccolare il suo piccolo Pietro non sembrerebbe la temibile giocatrice di volley che con le sue schiacciate terrorizzava la difesa delle squadre avversarie. Ma quando poi la vedi in campo, anche solo per fare due scambi tra amici ,riconosci quel guizzo, quel lampo negli occhi. Riconosci la passione.



«La pallavolo per me è sempre stata la cosa più importante. Ma ora è passata al secondo posto, dopo mio figlio». Si potrebbe riassumere così la storia recente di Taismary Agüero, pallavolista italo-cubana, chiamata da tutti semplicemente Tai, impegnata nei giorni scorsi in alcuni workshop di beach volley alle Isole Tremiti, in occasione della grande manifestazione Isola Bacardí.



CARRIERA PRESTIGIOSA

Una carriera straordinaria, prima a Cuba e poi in Italia, un palmarès impressionante, dalla medaglia d'oro alle Olimpiadi (Atlanta nel '96 e Sydney nel 2000), ai Mondiali, passando per gli Europei, i World Grand Prix e i campionati nazionali. Poi, la gravidanza e la nascita di Pietro. Tai si è presa una pausa dallo sport, ma solo il minimo indispensabile, perché pochi mesi dopo aver partorito era di nuovo lì, a combattere dietro alla rete.

Ora però, all'inizio di luglio, è arrivata la presa di coscienza che il mestiere di mamma e quello di giocatrice non vanno molto d'accordo. Tai ha detto addio alla Nazionale italiana e subito dopo anche alla squadra con la quale aveva ricominciato a giocare dopo la gravidanza, la Volleyball Casalmaggiore.



LA SCELTA DI FARE LA MAMMA

«Voglio dedicarmi a mio figlio a tempo pieno. E poi io ho 37 anni, fra un po' avrei dovuto smettere di giocare comunque. Di sicuro però se non avessi avuto un bambino non avrei smesso». Ma quando le si chiede se si tratti davvero di un addio alla pallavolo, quella certezza vacilla. «No, non è un addio. Se un domani, magari a gennaio, una squadra mi volesse come opposto, accetterei. Solo che non riuscirei a giocare in un altro ruolo, sarebbe come ricominciare daccapo».

Tai parla di tutto senza filtri. Racconta le sue esperienze con la squadra durante le trasferte, le risse sfiorate in campo, la dieta ferrea, i festeggiamenti smodati dopo le vittorie. Con lei si ride di gusto.



SEMPRE DA SOLA

Parla della pallavolo, soprattutto, ma poi torna sui suoi progetti familiari. «Voglio che Pietro sia autonomo, ma non che cresca da solo. Anzi, vorrei un altro figlio, una femmina. Poi però basta», e ride. Ma la sua espressione cambia subito: «Io, nella vita, sono stata sempre sola». Tai ama scherzare, e nonostante i suoi successi il destino non le ha riservato una storia divertente.

Già dall'infanzia, a Cuba: «Sono andata via di casa a 10 anni, vedevo i miei genitori una volta ogni due mesi. Tutti dicevano che per fare la pallavolista ero bassa, che non ce l'avrei mai fatta. Ho dimostrato che non era così».

Ma Dio solo sa quanto ha dovuto soffrire. Nel 2000, quando Tai già giocava in Italia con la Pallavolo Sirio Perugia, il governo cubano impose il rientro di tutte le giocatrici in patria. Di colpo il mondo che Tai si stava costruendo con tanta fatica rischiò di crollare. Ma non era solo una questione di carriera sportiva. «Ero innamorata. Ci misi un anno per organizzare tutto, alla fine decisi di scappare».



LA FUGA IN ITALIA

Il destino quella volta si manifestò sotto forma di un tremendo acquazzone, una notte a Montreux, in Svizzera, dove Tai era con la Nazionale cubana per giocare il Montreux Volley Masters. «Avevo paura che qualcuno potesse vedermi. Pioveva forte. E forse quello mi aiutò, perché in giro non c'era nessuno». Tai scappò e riuscì a rifugiarsi in Italia, lasciando il suo Paese e le sue compagne come una fuorilegge. Corse dalla persona che amava e per la quale aveva deciso di fare quella pazzia, ma non trovò nessuno ad aspettarla. «Io sono così, impulsiva. Ma lo rifarei». E in effetti quella scelta si rivelò tutt'altro che un errore, perché in Italia la sua carriera si affermò ancora di più, di nuovo a Perugia. Si sposò nel 2006 (anche se poco più tardi si sarebbe separata), diventando italiana a tutti gli effetti. Entrò nella nazionale azzurra. I successi non finirono qui, e nemmeno le sofferenze. Anzi, la più grande, quella che ancora oggi Tai non riesce a superare, era ad attenderla dietro l'angolo. Nel 2008 sua madre, che era malata e alla quale era molto legata, si aggrava. Tai cerca di tornare a Cuba, ma il governo non le concede il visto. Quando riuscirà a mettere piede sull'isola, sarà troppo tardi. «Mi ha ferito tanto non poterla rivedere». Gli occhi le diventano lucidi, e sembra quasi di vedere di nuovo quella ragazzina di 10 anni «troppo bassa» per fare la giocatrice, ma che poi avrebbe scritto la storia della pallavolo.

Quello stesso anno le regala anche il momento più emozionante della sua carriera. Quando cioè si ritrova, al World Grand Prix, ad affrontare la nazionale cubana. «Mi tremavano le gambe. Avevo paura di quello che le mie ex compagne potessero pensare di me. Ma poi mi resi conto che non ce l'avevano con me, anzi. Io fui la prima a scappare, e i cubani si resero conto di aver perso una giocatrice di talento. Ma non porto rancore a Cuba. Anzi, vorrei in futuro aprire una scuola di pallavolo in Italia, magari a Carpi, dove vivo, ma in cui gli allenamenti siano in stile cubano. Non tornerei a vivere a Cuba, ma porterei tutti gli allenatori di lì in Italia, perché loro danno molta importanza alla tecnica, e insegnano a giocare in tutti i ruoli».



IL FUTURO DI PIETRO

Poi si rende conto di aver ricominciato a parlare di pallavolo, e allora torna subito sulla sua più grande passione: «Però non vorrei che Pietro facesse il pallavolista. È uno sport fisicamente traumatico. Per lui preferirei il basket». Ci riflette un po' su, ripensa al lato oscuro dello sport, alla passione che è sempre pronta a trasformarsi in ossessione: «In realtà vorrei che lui facesse il medico, come il papà. Deciderà lui». Tai sa che anche Pietro dovrà combattere come ha fatto lei. Dovrà avere a che fare con il destino, cercando di rispondere colpo su colpo, pallonata dopo pallonata. E sa che certe volte non basta saltare a rete per difendersi, perché quella brutta bestia sa fare molto male. Molto di più di qualsiasi schiacciata.
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