Manuel, la rivoluzione dell'oro nero

Simone Manuel
di Piero Mei
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Venerdì 26 Luglio 2019, 13:57 - Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 18:57
Quando da piccola diceva che voleva diventare una nuotatrice, a Sugar Land, la terra dello zucchero chiamata così giacché la città del Texas è sorta in mezzo alle piantagioni più “dolci” del mondo, a Simone Manuel tutti ridevano in faccia. Perché Simone è nera. Un nuotatore nero? Impossibile, dicevano i santoni dell’acqua e del razzismo. Questione di fibre e di ossa. Trascuravano la non piccola questione che per molto tempo non era concesso agli afroamericani di entrare in piscina per nuotare (per fare le pulizie sì); certi luoghi più “liberal” consentivano il nuoto ai neri il mercoledì, perché il giovedì si cambiava l’acqua. Un solo nero aveva vinto un oro nella storia delle Olimpiadi, Anthony Nesty del Suriname, Seul ’88: a Paramaribo, la capitale del suo Paese, c’era solo una piscina da 25 metri, come aveva fatto? In realtà Nesty viveva e si allenava in Florida, terra di piscine e nuotatori.
“Ma gioca a basket, piuttosto, o corri su di una pista di atletica” dicevano quelli che la irridevano. Simone era cocciuta: lei voleva nuotare.
MODELLO SERENA
E l’ha fatto. Bene. Ha vinto l’oro a Rio olimpica, l’oro a Budapest mondiale. Cercava l’oro a Gwangju: l’ha vinto con 52.04, record americano. Ha detto che Serena Williams e Venus sono state per lei un modello di vita; ha detto che ci sono la Sjostroem, svedese, e Cate Campbell, australiana, ma c’è anche la Manuel. Il New York Times, quando vinse a Rio scrisse dell’importanza sociale di Simone: poteva avere lo stesso “effetto Phelps”. Michael, con i suoi successi, aveva fatto crescere la percentuale di maschi americani dedicati al nuoto dal 38 al 44 per cento del totale. Le associazioni attiviste antirazziste si auguravano che Simone potesse avere un effetto analogo sulle comunità afroamericane, perché negli Stati Uniti l’88 per cento dei morti per annegamento è nero.
PARITA’
Simone si è fatta testimone anche di un’altra battaglia: quella della “parità di stipendi e premi” fa donne e uomini: ha sottoscritto la lotta condotta dalle ragazze del calcio statunitense, fresche di titolo mondiale. C’è da tener presente che in America il calcio è sport principalmente femminile: non si ricordano successi degli uomini, se non un lontanissimo 1-0 a un mondiale, quello brasiliano del 1950, contro l’Inghilterra quando gli “inventori del calcio” decisero di partecipare per la prima volta alla competizione. Fu talmente incredibile il risultato che il dispaccio che lo comunicava in Gran Bretagna (non c’erano le comunicazioni immediate e tecnologiche di oggi) venne ritenuto una fake news in anticipo sui tempi, o soltanto un refuso, e venne corretto in “Usa-United Kingdom 1-10” e così pubblicato.
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