Eddy Merckx: «Ciclismo mio, sei crudele»

Eddy Merckx: «Ciclismo mio, sei crudele»
di Francesca Monzone
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Lunedì 28 Gennaio 2019, 11:46
PINEROLO Nello sport i campioni sono tanti, ma sono pochi quelli che verranno ricordati per sempre perché considerati unici. Eddy Merckx, il Cannibale, il grande, l'irraggiungibile, per le sue gesta quasi eroiche è uno di questi. Sono 525 le sue vittorie nel ciclismo e ancora mai nessuno è riuscito ad avvicinarsi ai suoi numeri. Quando nel 1969 l'uomo arrivò sulla luna, in quello stesso luglio Merckx vinse il suo primo Tour de France, segnando quella che ancora oggi è la sua vittoria più bella. Di Tour in totale ne ha conquistati 5, stesso discorso per il Giro d'Italia, poi una Vuelta, tre ori mondiali tra i professionisti e un record dell'ora, ma anche 19 vittorie nelle classiche monumento sia su strada che sul terribile pavé. «Senza dubbio la mia vittoria più bella è stata quella del Tour de France del 1969. È la corsa più importante del mondo perché hai tutti i media del mondo che ti guardano, ma non è stata la mia vittoria più difficile». Che arrivò, invece, al Giro d'Italia del 1972, quando per battere lo spagnolo Fuente, fu costretto a giocare di psicologia per far innervosire il suo avversario. Con l'Italia il suo legame sarà sempre forte nel bene e nel male. «A Savona ho vissuto il giorno più terribile della mia vita con la squalifica per doping al Giro, ma in Italia ho anche imparato tanto». Faema, Faemino e Molteni, sono le squadre italiane con le quali ha vinto di più. «In Italia ho imparato ad allenarmi e ad alimentarmi nel modo corretto. Il ciclismo dei miei tempi era diverso da oggi».
LA STOCCATA
Il ciclismo è cambiato tanto ma non le idee del campione che critica alcuni comportamenti dei corridori. «Non è vero che oggi la vita del corridore è più dura. Noi correvamo anche 150 gare in una stagione e le strade non erano belle come oggi. Non c'erano l'osteopata o altre figure professionali ad aiutarci, dovevamo accontentarci del massaggiatore e avevamo anche meno soldi». I soldi Merckx li vinceva nelle corse ma li divideva con i suoi compagni di squadra e nel 1975 conquistò il Tour a fatica in seguito a una caduta e si sentì in colpa perché per i problemi fisici riportati, non poté vincere altre corse in quell'anno e dare soldi ai compagni. «È giusto che oggi nel ciclismo ci siano più soldi. È uno sport cattivo il nostro, dove vince chi soffre di più, chi sa attaccare nonostante il dolore. Quindi perché non essere pagati come nel calcio dove si soffre di meno».
IL PRESENTE
Finita la carriera da atleta e allenatore Eddy ha iniziato a costruire biciclette. «Oggi la tecnologia ha un ruolo importante nello sport. I materiali con cui sono costruite le bici, il loro peso, sono un valore aggiunto che permette al corridore di lavorare meglio. Ai miei tempi tutto questo era impensabile». Il campione belga punta il dito contro la preparazione, sbagliata a suo dire da molti ciclisti. «Ci sono corridori che oggi fanno poche corse per avvicinarsi a un Tour o a un Giro. Questo è un grandissimo errore perché l'allenamento migliore è la gara. Noi prima di andare al Giro correvamo tutte le classiche e dopo andavamo anche al Tour e per questo vincevamo». Merckx guarda il ciclismo a 360 gradi, da ex corridore, allenatore e organizzatore, sa riconoscere i veri talenti e nel nostro Paese vede tanti campioni. «L'Italia è una Nazione dalla forte tradizione, ci sono alcune delle corse più importanti al mondo e tanti corridori di talento. Nibali è un vero campione ma anche Aru, Viviani e Moscon. Ci sono molti giovani interessanti e questo vuol dire che in Italia si lavora bene». Se nel mondo Merckx è considerato il campione unico del ciclismo, per il Belgio, il suo Paese, è considerato patrimonio nazionale. È l'unico sportivo a essere diventato baronetto ed è considerato il più grande personaggio sportivo del Paese. In una nazione come la sua, la bicicletta e le corse sono il pane quotidiano, ma Eddy il campione non viene da una famiglia di ciclisti. «Il ciclismo è una cosa che non si sceglie ma si sente. Nella vita c'è chi decide di diventare prete o calciatore, la mia passione mi fatto scegliere la bicicletta».
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