Chess-boxing, l’azzurro Nicolò Tiraboschi iridato: «Concentrarsi con uno zigomo gonfio è la parte più difficile»

Chess-boxing, l’azzurro Niccolò Tiraboschi iridato: «Concentrarsi con uno zigomo gonfio è la parte più difficile»
di Gianluca Cordella
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Domenica 5 Novembre 2023, 21:52 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 16:19

Esiste uno sport in cui il concetto di mente sana in corpo sano non esprime un fisiologico legame tra l’attività fisica e il benessere dell’anima, ma semplicemente sintetizza con efficacia le due componenti imprescindibili per la vittoria. Si chiama chess-boxing ed è la disciplina che mette in contatto due mondi apparentemente agli antipodi: scacchi e pugilato. La sfida è su distanze variabili, alternando round di scacchiera e di ring. Si vince per ko come nella boxe, per “scacco matto” o per tempo scaduto come negli scacchi, o per abbandono, come in entrambi gli sport. I praticanti nel mondo non sono tanti, ancor meno quelli in Italia, una trentina ne conta la Federazione. Ma, fra loro, c’è il fresco campione del Mondo. Si chiama Nicolò Tiraboschi, ha 23 anni, e giovedì scorso a Riccione ha trionfato nella rassegna iridata d’Italia nella categoria Under 65, primo azzurro di sempre a riuscire nell’impresa. Una carriera negli scacchi iniziata a 14 anni e bruscamente interrotta dal Covid. «Dopo aver preso il diploma, avevo deciso di dedicare un anno soltanto agli scacchi, per vedere dove potevo arrivare, ma a marzo è esplosa la pandemia e il mio piano è naufragato», racconta. Frustrato dal lockdown come tanti coetanei, Nicolò si rituffa negli studi - si iscrive a Filosofia - e contemporaneamente inizia a sentire l’esigenza di sfogare fisicamente i mesi di inattività. Cerca uno sport sul ring ed è quasi fisiologico che il suo animo da pensatore guerriero vada a sbattere sul chess-boxing. «L’ho conosciuto per caso. Ho messo i guantoni per la prima volta a ottobre dello scorso anno con l’idea di presentarmi agli Assoluti all’inizio del 2023 - racconta l’atleta bergamasco - Mi sono allenato sei giorni a settimana, a volte sette su sette. Rimettere in moto la mente per gli scacchi è stato più facile». Il percorso più comune, d’altra parte, è quello: da alfieri e torri ai guantoni. Rarissimi i casi di pugili che siano diventati assi della scacchiera. Che è anche il terreno di gioco dove si decidono in maggioranza gli incontri di chess-boxing. 

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UNA NASCITA FANTASY

Disciplina fantasiosa di per sé, il chess-boxing non poteva che avere una nascita fantasy.

A inventarlo concettualmente è stato infatti il fumettista francese Enki Bilal che nella graphic novel “Freddo Equatore” ipotizzò un match di pugilato disputato su una scacchiera. Quella suggestione iconografica fu così forte che l’artista e imprenditore olandese Iepe Rubing, il 12 settembre 2003, la trasformò in realtà a Berlino. «Fu un evento straordinario, performing art pura, riuscita talmente bene da spingere Rubing a organizzare il primo mondiale poco più di due mesi dopo», racconta Volfango Rizzi, fondatore e presidente della Federazione italiana, nata nel 2012.

Ed è indubbio che l’iconografia abbia un ruolo importante nella promozione di questo sport, proprio per il “corto circuito” visivo che crea un pugile seduto con le cuffie mentre muove un cavallo o la regina. «A Riccione, nel match dei quarti di finale, quando mi mettevo al tavolo vedevo che erano tutti preoccupatissimi - racconta ancora Nicolò - Non capivo perché, mi sentivo bene. Poi a fine incontro mi hanno fatto vedere le foto e avevo un occhio nero e segni della battaglia sul ring su tutta la faccia». «Ovviamente è questo l’aspetto più difficile di questo sport - continua l’azzurro - Tanti pugili sono aggressivi, ti attaccano sempre, e quando incassi poi non è facile mantenere la lucidità quando è tempo di tornare alla scacchiera». Sapendo che esiste un altro avversario, invisibile: il tempo. «In finale, nel penultimo round di scacchi, stavo per fare “matto” ma è finito il tempo. E mi è toccato boxare per un’altra ripresa, con il mio avversario, il francese Tony Infantino, che dava tutto perché sapeva che se non m’avesse mandato ko avrebbe perso di lì a qualche minuto». Come poi è stato. Un risultato straordinario, considerando i numeri. «I colossi di questo sport sono India e Russia - spiega Rizzi - dove gli atleti sono più di tremila. In India, addirittura, i bambini vengono avviati a questo sport già dai cinque anni». Ma l’Italia ha un rapporto atleti/allori più che invidiabile. «Ora studio per fare il programmatore, purtroppo con il chess-boxing non si mangia, come avviene purtroppo per tanti altri piccoli sport - conclude Nicolò - Ma il mio sogno sportivo, anche se può sembrare solo una medaglia al collo, l’ho già raggiunto». 

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