Bolt e Gatlin come Alì e Foreman a Kinshasa nel 1974

Bolt e Gatlin come Alì e Foreman a Kinshasa nel 1974
di Piero Mei
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Domenica 6 Agosto 2017, 20:23
Poteva sembrare Kinshasa 1974 lo stadio olimpico di Londra, quello rigenerato come prossima casa del West Ham di calcio perché la filosofia delle Olimpiadi inglesi del 2012 è stata quella moderna e per gente che sa amministrare la città e lo sport, dell’”usa e riusa” e non dell’”usa e getta” fin lì vigente e da noi ancora in vigore per la politica del “non fare”. Non c’era il ring ma la pista rossa, non c’erano Mohammed Alì e George Foreman, non c’erano i pugni ma le falcate, non c’era il pubblico dell’Africa Nera, maggioranza in Congo, ma la gente multietnica di Londra, vestita alla giamaicana, il Bolt people. E l’urlo suonava diverso: perché più di quarant’anni fa, nella giungla (il match sarebbe passato alla storia come “The Rumble in the Jungle”, la rissa nella giungla) il popolo dello sport urlava “Alì Boumayè”, Alì uccidilo, ed a Londra si limitava al grido di “Usain Bolt, Usain Bolt”.

Alì era il Bene: l’uomo dalla coscienza pulita che aveva rifiutato la sporca guerra del Vietnam; Foreman, per gli afroamericani, era il Male. Era lui che, vincendo le Olimpiadi otto anni dopo Alì quando era Cassius Clay a Roma, era salito sul ring sventolando una bandierina americana nei Giochi nei quali Tommy Jet Smith e John Carlos avevano alzato il pugno guantato di nero e tenuto la testa bassa mentre suonava l’inno statunitense.
Bolt a Londra era il bene: l’uomo che non ha mai avuto un problema con i Commissariati di Polizia del doping, l’uomo che non deve perdere mai (e quasi mai lo fece), l’uomo dei record, di medaglie e di crono. Gatlin era il male: assoluto. Una duplice squalifica per doping, quattro anni lontano dalle piste e dalle gare; disse lui, ma non fu creduto, che la prima volta si trattava di una medicina che gli evitasse la narcolessia (cadere addormentato sui blocchi: era molto di moda fra gli americani accusare questo disturbo, come fra tanti altri accusare asma, il tutto al fine di prendere medicinali che servono alla guarigione in caso di malattia, ma anche all’esaltazione di certe qualità fisiche se la malattia non c’è), la seconda di una pomata al testosterone, utilizzata a sua insaputa (vecchia storia) dal massaggiatore.

Ecco: queste due vicende umane e sportive si sono affrontate a Londra 2017, due uomini dal diverso cammino, di età simile ma quattro anni di più fra i 35 di Gatlin e i 31 di Bolt potevano avere effetto (i quattro anni di riposo forzato per squalifica di Justin? In fondo gli anni corsa sono stati gli stessi). Due uomini che nessuno credeva si affrontassero ancora: per l’invincibile Usain si temeva tutt’al più la freschezza di Christian Coleman, anni 21; e Coleman, con tutto il rispetto per il Bene dell’atletica, sognava di rovinarne l’ultimo party.
Ma Gatlin, il Cavaliere Nero di Brooklyn, che quando i migranti eravamo noi italiani chiamavamo Broccolino, non è stato dello stesso avviso. E sul filo dei decimi di secondo ha cambiato il menù della festa. Il miele divenne fiele. Gatlin vincitore s’inchinò per gioco al vinto Bolt: per rispetto e forse per dispetto.
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