Le donne-coraggio della 'ndrangheta,
la forza di ribellarsi anche a costo della vita

Micaela Ramazzotti nel ruolo di Lea Garofalo nella serie Disney"The Good Mothers"
di Gloria Satta
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Martedì 4 Aprile 2023, 16:16
«A Berlino c’è stata una grandissima attenzione. Durante le proiezioni regnava il silenzio, lo stesso che sul set aveva accompagnato la lavorazione di molte scene. Spero che quell’emozione arrivi ora al cuore degli spettatori di ogni latitudine: il tema è universale, nelle protagoniste si possono identificare le donne di tutto il mondo». Così parla Elisa Amoruso che, con Julian Jarrold, ha diretto la serie originale Disney ”The Good Mothers”, in 6 puntate, disponbile su Disney + dal 5 aprile dopo aver vinto alla Berlinale il premio riservato alla lunga serialità, per la prima volta in concorso al festival.
PUNTO DI VISTA. Ispirata al best seller omonimo di Alex Perry, prodotta da Wildside (Fremantle), The Good Mothers racconta la ’ndrangheta dal punto di vista delle donne: quelle che in Calabria hanno avuto il coraggio di ribellarsi alla paura, all'omertà e alla violenza dei maschi-padroni per prendere le distanze dalle rispettive famiglie criminali e collaborare con la giustizia. Tra realtà e finzione, la cronaca più violenta è alla base della serie: Lea Garofalo (interpretata da Micaela Ramazzotti), sua figlia Denise Cosco (Gaia Girace), Maria Concetta Cacciola (Simona Distefano) e Giuseppina Pesce (Valentina Bellè) sono infatti i veri nomi delle mogli, madri, parenti di ’ndranghetisti che, incoraggiate dalla giovane e brillante pm Anna Colace (Barbara Chichiarelli) scesa in Calabria per smantellare l'organizzazione criminale, hanno sfidato le tradizioni, il proprio ambiente e perfino la morte per ribellarsi alla violenza, all’illegalità, al patriarcato. Gli unici maschi del racconto sono gli ’ndranghetisti interpretati da Francesco Colella e Andrea Dodero.
CORAGGIO. «La prospettiva squisitamente femminile rende la nostra serie unica», spiega Jarrold, «la mafia è sempre stata raccontata, nel cinema e in tv, dal punto di vista dei maschi criminali con grande spreco di violenza. Mai erano state protagoniste le donne, e per di più quelle in pericolo». Secondo Amoruso «era necessario raccontare la storia di queste protagoniste invisibili: quando ho letto il libro di Perry sono rimasta colpita, il loro mondo sembra lontano secoli ma è tuttora una realtà. Sposano uomini che non hanno scelto, diventano madri a 15-16 anni, accettano che siano gli altri a decidere il loro destino. Storicamente la donna è considerata l’anello debole di qualunque epressione della società. Le donne ribelli della ’ndrangheta hanno invece dimostrato più coraggio di chiunque altro diventando collaboratrici di giustizia, rinunciando all’identità e rischiando la morte. Alcune, come Lea Garofalo, sono state uccise. Altre vivono nascoste sotto protezione».
CAVALLI DI TROIA. Ramazzotti interpreta proprio Lea Garofalo, uccisa nel 2009 per aver testimoniato contro il marito: «Era nata e cresciuta all’interno della ’ndrangheta», spiega l’attrice, «ma ha fatto di tutto per fuggirne. Ci ha messo la faccia, ma purtroppo non ce l’ha fatta, ha pagato il suo coraggio con la vita ma ha trasmesso la sua forza alla figlia. Spero che la serie incoraggi le persone, in qualunque contesto, a ribellarsi alla violenza». A Chichiarelli spetta il ruolo di Anna Colace, la magistrata scesa in Calabria per smentallare la criminalità proprio puntando sulla collaborazione delle donne, autentici ”cavalli di Troia” adatti a penetrare nell’organizzazione e minarla alle fondamenta. «La ’ndrangheta è una società estremamente chiusa e Colace ha l’intuizione di farsi aiutare da mogli, madri, amanti dei boss dopo aver intercettato i segnali dei loro primi cedimenti: la serie racconta fatti risalenti a vent’anni fa e già allora internet e telefonini fornivano alle donne i termini di paragone per ribellarsi al loro ambiente patriarcale e repressivo».
REPULSIONE. Colella interpreta invece Carlo Cosco, marito di Lea Garofalo e padre di Denise. E’ lui che, sentendosi tradito dalla moglie, ordina il suo omicidio. «A un attore si raccomanda sempre di non giudicare i suoi personaggi», ragiona Colella, «ma io per Cosco ho provato un’autentica repulsione. La sera, finite le riprese, facevo fatica e scrollarmelo di dosso. Era un omuncolo, privo di sentimenti, capace soltanto di scambiare il possesso per amore. E io nell’interpretarlo ho fatto di tutto per togliergli qualunque sospetto di seduzione».
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