Nino D'Angelo: «I neomelodici? Li ho inventati io. Nessuno escluso»

Nino D'Angelo: «I neomelodici? Li ho inventati io. Nessuno escluso»
di Veronica Cursi
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Sabato 14 Luglio 2018, 13:18 - Ultimo aggiornamento: 14:46

Sessantuno anni vissuti sempre con la speranza, che «per chi non ha niente in tasca è la fede più grande». E in tasca Nino D'Angelo, il ragazzo con il caschetto d'oro cresciuto tra i vicoli di Napoli, ha sempre avuto pochi soldi ma tanti sogni. Tutti realizzati.
 



IL TOUR
Ecco perché questi 40 anni di carriera «sudati, belli, avventurosi» ha voluto festeggiarli con un concerto 6.0 (l'anno scorso in uno strapieno stadio San Paolo) che ora replica con un tour in giro per l'Italia e il 20 luglio sarà a Ostia Antica. «Un regalo per i fan, ma lo sa che nel mio pubblico ci sono anche tanti giovani? Sono passato di padre in figlio». Una bella soddisfazione per quel giovane biondino, che diventato grande si leva qualche sassolino: «Quando cominciai ad avere successo molti mi vedevano come un fenomeno da baraccone. In realtà avevo inventato un genere, il neomelodico. Tutti i cantanti napoletani di oggi sono cloni del Nino D'Angelo degli anni 80».
E lui ancora se lo ricorda il momento che gli cambiò la vita. «Partì tutto da una canzone Nu jeans e na maglietta. Ogni volta che la canto mi viene in mente una scena, mia moglie che lava per terra, io che arrivo e le dico sei fortunata, ti sei sposata un uomo ricco: in realtà non avevo una lira, avevo solo indovinato un pezzo». Ricordi e nostalgie. Sempre scanditi dalle canzoni. L'ultima, quella della maturità, Senza giacca e cravatta dove Nino traccia il bilancio di una vita felice. «Sono stato un uomo fortunato, ero uno scugnizzo che faceva tutto da solo, vendevo i dischi porta a porta con i fratelli e ho conosciuto il successo, ma anche tanti pregiudizi».
Un momento che le è rimasto nel cuore? «Il concerto l'anno scorso al San Paolo di Napoli quando davanti a 30 mila persone ho cantato nella curva B della mia squadra del cuore, la curva dove andavo a vedere le partite sulle spalle di mio nonno». E oggi cosa spera? «Spero che si risolva il problema della disoccupazione. Siamo una generazione che ha fallito con i nostri figli, per volergli troppo bene ci siamo dimenticati di loro».

GLI EREDI
E proprio ai giovani dà una stoccata: «Amo i talenti più che i talent. E per talenti intendo quelli che hanno qualcosa da raccontare. Oggi vedo troppi ragazzi tutti uguali». Un suo erede, ne è convinto, ancora non c'è. «L'unico erede è mio figlio perché si chiama D'Angelo come me. Scherzi a parte, io non ho mai voluto essere l'erede di qualcuno, e quando mi dicevano sei il nuovo Mario Merola mi infastidivo. E poi, diciamoci la verità - ripete - i miei eredi sono tutti i cantanti napoletani neomelodici dagli anni 80 ad oggi. Nessuno escluso».
 

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