E un pezzo disponibile solo in digitale (“Never Stop Dreaming) che viaggiano tra le atmosfere alla Quincy Jones ed echi psichedelici, e la versione “groovy” di “Mystery of Man” (cantato per la prima volta nel 1984 da Sarah Vaughan). E se all’inizio fare questo genere di musica era la sua “croce” («mi consigliavano di cambiare lavoro»), e se suo padre fu il suo «primo maestro», il catanese non dimentica mai le sue origini. Le stesse che gli permisero di aprire i concerti di Ray Charles, di essere paragonato a Barry White, di considerarsi un discepolo di Al Jarreau e di fare concerti dalla Royal Albert Hall. Rispetto al precedente “Beyond”, qui è più interprete che arrangiatore, e si prepara a un tour in Italia, Europa e Asia (al Palalottomatica di Roma il 24 aprile).
Con questo disco si apre un anno di festa.
«Sì, quello della mia carriera. Inediti, cover e un tour che mi porterà ad avere un rapporto diretto con il pubblico. Festeggio la mia musica, il modo di essere, i miei successi, percorrendo i punti salienti che l’hanno caratterizzata. Pensare che mi consigliavano di cambiare mestiere: genere di musica troppo di nicchia e forse troppo fuori dagli schemi. Con questo ultimo lavoro torno un po’ alle origini, alla maniera di “spaghetti soul”».
Cos’è esattamente Best of Soul?
«Il soul è uno stile di musica. Best of soul, il massimo di una visione bianca del soul».
C’è una canzone che si chiama Gratitude. È dedicata a qualcuno in particolare?
È per tutti quelli che mi hanno sostenuto, per la mia famiglia, per i miei musicisti, per gli artisti che mi hanno sempre appoggiato. È un regalo che faccio loro attraverso la penna di Jeff Cascaro e di Robin Meloy Goldsby.
Rispetto a dieci anni fa però ci sono delle differenze nel mondo musicale.
Beh, sicuramente. I giovani artisti vanno sempre di più verso l’internazionalità. L’inglese sta diventando la lingua più usata. Pensiamo ai The Kolors, solo per fare un esempio.
Lei è stato sempre visto come il Barry White italiano.
Di lui mi è sempre piaciuta la carica: mi ha sdoganato ed è stato il mio “cavallo di Troia”. Ma non sono una seconda scelta. E mi sento più Al Jarreau.
Artisti della canzone italiana che hanno in qualche modo segnato la sua strada?
Zucchero, la bossa nova di Fabio Concato, Claudio Baglioni, la grinta vocale di Cocciante. A loro è mancata la lingua inglese che ne sancisse la divulgazione internazionale che avrebbero meritato.
Accetterebbe di fare il coach di qualche talent?
Sì, o anche di un laboratorio live nel quale i musicisti allievi suonano, si sperimentano in arrangiamenti e nella messa in opera dei cantati. Per quanto angusta e stretta per via dei tempi standardizzati, la televisione mi attrae.
Tirando le somme di questi dieci anni?
Non seguo un cliché. Cambio direzione. L’unica cosa che mi lega è il mio nome. Talmente fuori da ogni schema che magari duetterò con Lady Gaga.
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