Joe Strummer: cosa resta del punk 20 anni dopo la scomparsa del suo filosofo

Joe Strummer: cosa resta del punk 20 anni dopo la scomparsa del suo filosofo
di Mattia Marzi
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Giovedì 22 Dicembre 2022, 15:26

Le sue canzoni e i suoi dischi sono già da tempo al centro di operazioni di accordi tra case discografiche e società di edizioni, che acquistano e rivendono i diritti della sua musica con spregiudicatezza. La Dark Horse Records, oggi guidata da Dhani Harrison, figlio del leggendario George, lo scorso settembre ha pure spedito nei negozi un cofanetto celebrativo con rarità e inediti, anticipando di qualche mese l’anniversario della scomparsa del musicista: il box, “Joe Strummer 002: The Mescaleros”, che racchiude tutto il lavoro con la band che mise in piedi dopo la fine dei Clash, i Mescaleros, è stato messo in vendita per la modica cifra di 156 euro. Un’operazione non proprio in linea con la filosofia e i sacri principi del punk: il povero Joe Strummer si sarà rivoltato nella tomba. L’iconico frontman dei Clash, la band che insieme ai Sex Pistols nella seconda metà degli Anni ’70 scrisse le pagine più importanti del punk, se ne andava a causa di una malformazione cardiaca congenita il 22 dicembre 2002, esattamente vent’anni fa. Lasciando un vuoto incolmabile nei cuori di fan e appassionati, oltre che nella scena rock mondiale.

In questi due decenni dalla sua scomparsa su Joe Strummer è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Difficile riassumere in poche righe la grandezza e lo spessore di una figura rivoluzionaria come quella del cantante dei Clash, che ha cambiato il corso della storia del genere tra l’epopea del rock classico degli Anni ’60 e ’70 e gli Anni ’80 e dunque il futuro. Forse il ritratto più vero, autentico, preciso di ciò che ha rappresentato Joe Strummer lo ha offerto Julian Temple, che nel 1980 ebbe l’intuizione di raccontare per primo la prematura fine della rivoluzione punk girando “La grande truffa del rock’n’roll”, il film – un titolo che era tutto un programma – sui Sex Pistols, e che frequentò così a lungo lo stesso Strummer da decidere nel 2008 di dedicargli il documentario “Il futuro non è scritto”: “Per me Joe Strummer, a dispetto di come viene visto nell’ambiente del rock’n’roll, era un filosofo.

Ha riflettuto veramente sulla vita e i tempi che tutti noi abbiamo attraversato. Era concentrato sulla natura dell’essere umano, sul concetto di libertù su molte cose che sono state cancellate dal nostro modo di vivere oggi”.

Cosa resta del punk, dei Clash e della filosofia di Joe Strummer, a vent’anni di distanza dalla scomparsa del musicista? Non sarà certo il primo posto della classifica dei dischi più venduti nel Regno Unito conquistato emblematicamente nella settimana della scomparsa della Regina Elisabetta – sbeffeggiata dai Sex Pistols nel ’77 nella loro “God Save the Queen” – da Yungblud, tra i protagonisti del revival del pop-punk di questi anni, a dimostrare che il punk è ancora vivo e lotta insieme a noi (ammesso che di punk si possa parlare, in riferimento alla voce di “I Think I’m Okay”).

Semmai è un altro, il dato che lo certifica: i 796 milioni di ascolti complessivi totalizzati da “Should I Stay or Should I Go” su Spotify, anche grazie a “Stranger Things” (la canzone era presente nella colonna sonora della prima stagione della popolare serie Netflix fenomeno tra i giovanissimi). Pazienza se i ragazzini che oggi ascoltano la hit dei Clash non sappiano neppure che faccia avesse Joe Strummer: la fiamma è ancora viva, e questo è l’importante.

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