Eleonora Buratto a Santa Cecilia: «Il Requiem di Verdi con mia mamma nel cuore»

Eleonora Buratto
di Simona Antonucci
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 27 Novembre 2019, 21:30

 «Questa Messa da Requiem la canto per mia madre. Una promessa che le ho fatto e che sono felice di onorare qui a Santa Cecilia. Mi ha sempre ripetuto, anche quando ero bambina, che nella vita bisogna comunque andare avanti. Qualsiasi cosa accada, diceva. Lei non c’è più da qualche mese. Io ho stretto i denti, sono andata avanti ed eccomi qui a interpretare questo capolavoro di Verdi, con un vuoto nel cuore».

Eleonora Buratto, 37 anni, mantovana, è il soprano solista della composizione sacra, proposta da giovedì 28 (al Parco della musica, repliche sabato e lunedì), nell’ambito della stagione sinfonica dell’Accademia. Sul podio Daniel Oren che torna dopo 17 anni e dirigerà anche il mezzosoprano Ekaterina Semenchuk, il tenore Francesco Demuro e il basso Ain Anger. Grazie alla sua voce e alla personalità con cui domina il palcoscenico, è protagonista nei grandi teatri nel mondo e amata dai direttori d’orchestra più autorevoli, da Muti (che l’ha cresciuta) a Mehta, da Gatti a Luisi.

Domani è nuovamente a Roma «e in questo brano che Verdi scrisse per la morte di Manzoni, metterò tutta la mia italianità e il mio senso cristiano».

Lei ha debuttato giovanissima nel ruolo di Musetta in Bohème e poi tante eroine mozartiane, rossiniane, pucciniane... come sta affrontando questa Messa?
«È un cammino lento, si studia, si prova, si cambia. Sia artisticamente, sia umanamente. Se penso al Requiem che ho fatto l’anno scorso al teatro San Carlo, mi rendo conto che domani sarà un’altra cosa. Nel frattempo, ho vissuto e interpretato titoli diversi. E la Luisa Miller, di ques’estate a Barcellona, mi ha aperto definitivamente al mondo verdiano: un incontro di grandissimo aiuto».

Un incontro fondamentale fu quello con Pavarotti. Lei era appena ventenne: che cosa porta con sé?
«L’appuntamento con Pavarotti lo prese il mio insegnante di canto. Io studiavo al conservatorio e pensavo che al massimo sarei riuscita a entrare in un coro. Il mio professore evidentemente ipotizzava altro. Pavarotti mi ascoltò e mi diede il coraggio di sognare una carriera da solista».

Tra le sue varie interpretazioni, qual è la donna che più le è affine?
«Amelia, Corinna, Liù, Adina, Nannetta, Cleopatra e Susanna, ognuno di questi personaggi ha contribuito a formare l’artista che sono oggi. A Mimì sono particolarmente legata perché quando l’ho affrontata la prima volta mi ero appena innamorata dell’uomo che amo ancora e che spero di sposare presto. Nei prossimi mesi ho ben tre Bohème che mi aspettano. A Berlino, Colonia e Londra. Con tre direttori e tre registi diversi».

I registi sono sempre più esigenti: ha mai avuto modo di discutere?
«Non sopporto chi non rispetta il libretto o disturba la posizione del canto. Una volta mi è capitata una cosa assurda. Durante un passaggio vocale impegnativo, un regista mi chiese di procedere facendo dei mini passetti, buffi, tipo pupazzo. Gli dissi no. Punto».

Nel mondo della classica o dell’opera, gli uomini prendono ordini dalle donne?
«Sono stati fatti molti passi avanti, sono ottimista».

Molte sue colleghe sono ossessionate dai chili in più: affrontano diete mortificanti. Lei?
«Ci pensavo proprio oggi.

In questo periodo la bilancia mi manda segnali poco rassicuranti. Capita. E voglio proprio vedere se qualcuno prova a fare battute. Oggi, la linea sta diventando un incubo. Siamo cantanti non ballerine. Chi osava fiatare con la Caballé, rotonda e divina?». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA